Quella in cui ci troviamo è una situazione senza precedenti, con i prezzi delle materie prime e dell’energia alle stelle si rischiano pesanti ripercussioni non solo sulla spesa delle famiglie, ma sull’intera catena di produzione e quindi sulla rete degli approvvigionamenti.
L’impennata del costo dell’energia fa lievitare le bollette e mette a rischio l’industria
Il rischio concreto e ora quanto mai tangibile è quello di una sorta di effetto domino dagli sviluppi difficilmente prevedibili. Il quadro complessivo è tutt’altro che rassicurante: da una parte abbiamo la scarsità delle materie prime, quindi il rallentamento della produzione su scala globale specie in alcuni settori, dall’altra abbiamo il problema della manodopera e dei trasporti dovuto soprattutto al caos derivante dalle restrizioni anti-Covid.
Abbiamo quindi un incremento dei costi sia per quel che riguarda la produzione che risente della scarsità e quindi dei costi maggiorati per accedere alle materie prime, sia per quel che riguarda la distribuzione, con un’impennata dei costi dei container e dei trasporti in generale.
A questo si aggiunge il costo dell’energia che ha raggiunto in poco tempo dei massimi storici preoccupanti e che è destinato a crescere ulteriormente nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
“Da qui a Natale un Paese energivoro come il nostro corre verso il lockdown energetico” spiega infatti Edoardo Beltrame, esperto di energia che lavora in questo settore da almeno 50 anni. È lui stesso ad osservare che un rimbalzo così preoccupante del prezzo del gas non lo aveva mai visto prima.
Si teme possa accadere qualcosa di simile a quanto successe nel 1973 quando a mancare fu il petrolio, in realtà però l’attuale situazione è molto più delicata e decisamente instabile.
Sulla questione degli aumenti dell’energia è arrivato anche il commento del ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che ha ammesso: “il gas a 300 euro per megawattora è una roba senza precedenti che impatta enormemente sulla manifattura, sulle bollette di tutti”.
In questo momento però, è bene sottolinearlo, per quanto per alcune famiglie far fronte ad una maggiorazione simile della spesa energetica possa risultare difficile, il vero rischio è legato ad altri aspetti.
I costi proibitivi dell’energia infatti rischiano di fermare la produzione non solo in Italia ma anche in altri Paesi del mondo. Nel nostro Paese la prima azienda a fermarsi è stata nei giorni scorsi la sede di Ferrara della Yara, che produce fertilizzanti, la quale ha interrotto la produzione proprio per via degli elevati costi dell’energia.
Prezzi del gas alle stelle e il Governo corre ai ripari
Abbiamo già visto nelle ultime settimane quanto sia difficile reperire alcuni articoli, ma per ora quanto meno in Italia, il problema non ha coinvolto generi di prima necessità. Il quadro insomma potrebbe peggiorare se il costo dell’energia continua ad essere così elevato anche nei mesi a venire con risvolti che non è facile prevedere.
Il governo di Mario Draghi nel frattempo ha messo in campo circa 10-15 miliardi di euro per ridurre i costi in bolletta per le famiglie con reddito basso e per le piccole e medie imprese che consumano meno di 16 kw/h, ma probabilmente questo non sarà sufficiente a scongiurare il peggio.
Entro la fine del 2021 avremo i nuovi prezzi dell’energia pubblicati dall’Arera, e questi non potranno che rispecchiare quanto sta succedendo. Entro la fine dell’anno alle famiglie potrebbero arrivare delle bollette di luce e gas con costi proibitivi.
Un broker che lavora con 2.500 tra piccole e medie imprese ha ipotizzato “amenti fino al 900%” e ha spiegato che “se i clienti non pagassero rischieremmo un effetto a catena sui circa 800 venditori di energia elettrica, che così finirebbero in default perché anticipano il costo ai trader” una cosa già successa in Italia con Green Network e che sta accadendo anche nel Regno Unito.
Il costo del gas nel mese di aprile ha iniziato a salire. Se si prende come riferimento il prezzo medio di una fornitura costante per l’intero anno solare si registra dalla primavera scorsa un aumento dai 19 euro agli oltre 100 di fine giornata. In genere il prezzo del gas oscilla di circa 6 euro al mese. mentre ora i trader si sono ritrovati con aumenti di 20, 40 euro al giorno.
Un trader che lavora per una importante utility ha spiegato che “è l’effetto di una tempesta (im)perfetta in cui si è trovata l’Italia. Il mercato del gas italiano è strettamente collegato al resto d’Europa attraverso i metanodotti, ed il resto del mondo attraverso il gas naturale liquefatto importato via nave”.
A determinare questa situazione sono stati, secondo il trader, due elementi in particolare: la cescita del PIL superiore al previsto nell’ultimo semestre, che secondo le stime contenute nella Nadef si attesterebbe intorno al +6%, e il rigidissimo inverno nei Paesi del Nord Europa che hanno portato a consumi elevati per il riscaldamento anche nei mesi di marzo e aprile in grado di intaccare i livelli di stoccaggio del gas.
A tutto questo si aggiungono poi alcuni problemi agli impianti di produzione in Norvegia e in Australia.
Il ruolo determinante della Russia
“All’Europa mancano almeno 6 miliardi di metri cubi di giacenza rispetto al 2020″ spiega una fonte a Il Giornale “siamo ai minimi degli ultimi cinque anni. In presenza di un altro inverno particolarmente rigido, con la solita settimana di freddo a febbraio, rischieremo lo shock“.
“È vero che la parte del leone sulle forniture via nave di gas liquido l’hanno fatta il Brasile (che ha registrato un anno molto asciutto) e soprattutto la Cina” spiega ancora la stessa fonte, ricordando di come la superpotenza asiatica si sia accaparrata molti cargo per mettere in cassaforte la sua ripresa economica post emergenza Covid.
In Italia quanto a stoccaggio, si legge su Il Giornale, non siamo messi poi così male perché “la nostra legge impone un livello minimo del 98%, pena rischio di sanzioni. Inoltre i flussi di gas via tubo da Algeria, Libia e Azerbaijan, seppur a singhiozzo, sono sostenuti”.
In un recente report dell’Ipsi, Alexandre Kaufmann ha ricordato che la questione energetica si intreccia con quella politica. Non dimentichiamo che la Russia è uno dei pochi Paesi che non sta subendo le conseguenze dell’aumento dei prezzi dell’energia essendo uno dei principali esportatori di gas naturale.
La Russia comunque si trova a fare i conti con uno stoccaggio contenuto e ha deciso di ridurre il volume di gas sul metanodotto ucraino spingendo invece sulle concessioni per il raddoppio del metaonodotto Nord Steam 2 che porta il gas della Gazprom in Germania.
E qui entra in gioco la politica dell’Ue in chiave filo-americana con le sanzioni contro la Russia volute da Bruxelles nel 2014 che giocano a nostro sfavore diventando di fatto delle sanzioni contro di noi. Non si esclude che nella conversazione telefonica tra Berlusconi e Putin del 7 ottobre si sia parlato anche di questo.
Con inverno freddo import Ue dovrà crescere del 10%
Quello che dobbiamo aspettarci con l’arrivo dell’inverno è una stagione particolarmente fredda ed è un aspetto da non sottovalutare perché i costi che le famiglie italiane si troveranno a dover sostenere lieviteranno notevolmente andando, tra le altre cose, ad incidere sui consumi.
Sempre che le risorse si rivelino sufficienti a coprire una così forte domanda, per soddisfare la quale i Paesi dell’Ue saranno costretti ad incrementare le importazioni di gas dal +5 al +10% rispetto ai volumi massimi registrati negli anni.
A lanciare l’allarme è EntsoG nel Winter Supply Outlook dove viene spiegato che il livello di stoccaggio di gas in Europea è particolarmente basso per una serie di ragioni, e che la produzione interna europea di gas va verso una ulteriore riduzione.
Abbiamo parlato dell’importante ruolo della Russia, e di quanto sia fondamentale la trattativa in corso in questi giorni per assicurarsi i rifornimenti di gas dalla Gazprom, l’impresa di Stato russa. E con un inverno rigido alle porte e il conseguente aumento obbligato delle importazioni, la questione assume una rilevanza ancor maggiore.
Non solo, persino nello scenario migliore, quello in cui le temperature invernali in Europa dovessero risultare nella norma, le scorte di gas europee non sarebbero comunque sufficienti a coprire la domanda per via degli attuali bassi livelli di stoccaggio.
Nel Winter Supply Outlook si legge infatti che al 1° ottobre lo stock di gas è ridotto a 831 Kw/h, pari al 75% della capacità, e si tratta del livello più basso dal 2015. Ciò riduce la flessibilità necessaria a far fronte ai picchi di domanda attesi per la fine dell’inverno.
Il rischio è quello che con livelli di stoccaggio molto bassi a fine inverno si decida per una riduzione della domanda in caso di ondate di freddo di fine stagione. Dalla EntsoG fanno sapere che è vero che le infrastrutture di gas europee sono in grado di garantire il trasporto del gas dove ve ne sia maggior richiesta, ma la condizione è che il gas sia prima di tutto disponibile.
Ed è proprio questo il punto, perché il rischio è che a fine stagione si dovrà ‘raschiare il fondo del barile’. Ed ecco che si torna a parlare di prezzi, perché i pesantissimi rincari porteranno inevitabilmente ad una riduzione dei consumi, e questo mitigherà il rischio di esaurire le scorte. Quanto ciò andrà ad incidere sul consumo di gas e quali prospettive offra non è però argomento centrale nel Winter Supply Outlook.
I bassi livelli di stockaggio, lo conferma anche AntsoG, sono dovuti al record di utilizzo della flessibilità di stoccaggio nell’inverno 2020-2021, e al fatto che durante l’estate, principalmente a causa dei prezzi insolitamente alti, le iniezioni sono state più contenute del solito.
La situazione in Europa non si mostra però omogenea, con Paesi particolarmente a rischio come Danimarca e Svezia, che risentono di un grave incidente tecnico dovuto ai lavori in corso nel complesso gas di Tyra nel Mare del Nord danese. Secondo Entsog i due Paesi scandinavi si troveranno a dipendere quasi esclusivamente dal gas che arriva dalla Germania almeno fino al mese di luglio.
Anche i Paesi che si affacciano sul Mar Baltico e la stessa Finlandia potrebbero trovarsi in situazioni simili, con interruzioni nella fornitura di gas quando le temperature diventeranno particolarmente basse. Inoltre, viene spiegato nel Winter Supply Outlook, bisogna tener conto dei problemi ai gasdotti da Russia e Ucraina.
In Italia gli stoccaggi al 1° ottobre risultano intorno all’85,5% della capacità, ma in altri Paesi la situazione è decisamente più preoccupante. Stiamo parlando di Austria, Olanda e Germania, che hanno livelli di stoccaggio di gas compresi tra il 53 e il 68%, ed è in questi Paesi che si concentra circa il 42% della capacità europea.
I rifornimenti, le cosiddette iniezioni nei depositi, potrebbero comunque proseguire fino ad inizio novembre, stando a quanto si legge nel rapporto Winter Supply Outlook di EntsoG, cosa che anche negli anni passati è già accaduta in alcuni casi.
E restando sul tema dei livello di stoccaggio di gas, dal workshop di Snam, cui hanno partecipato 350 rappresentanti di 114 società, emerge che la Francia e l’Italia si trovano al momento nelle “migliori condizioni in Europa”.
Nonostante ciò i livelli di stoccaggio risultano comunque bassi rispetto agli anni passati, con 9,89 miliardi di mc di gas nei depositi Stogit registrati al 30 settembre, contro i 12,2 miliardi di un anno fa. Quello attuale infatti è il livello più basso per le scorte di gas degli ultimi 5 anni.
Il rischio lockdown energetico
Il rischio che corrono alcuni Paesi dell’Unione Europea con in prima linea l’Italia, è quello di un lockdown energetico. Il nostro Paese infatti dipende molto dal nucleare francese, infatti tutte le volte che su una parte degli impianti vengono effettuati interventi di manutenzione in Italia i prezzi ne risentono subito.
Gli esperti spiegano che se anche gli altri Paesi si trovassero in difficoltà in campo energetico per noi la situazione diventerebbe ancor più critica.
“Nel 2020 il prezzo previsionale a megawattora per la fascia energetica FI era di 43 euro” spiega un broker “la previsionale di dicembre è di 380 euro, altro che i 300 euro ipotizzati da Cingolani”.
L’aumento sarebbe quindi del 900 per cento, e secondo Beltrame già a partire dal mese di novembre 2021 la bolletta della luce di un bar che paga normalmente 3 mila euro potrebbe schizzare a 6 mila euro.
“Socializzare” gli oneri di sistema che i contribuenti italiani pagano (profumatamente) in bolletta potrebbe servire ma solo in minima parte ad attutire l’impatto degli aumenti in campo energetico. Il governo d’altra parte ha deciso di stanziare 15 miliardi di euro l’anno, ed è una somma che difficilmente sarà sufficiente a contenere gli effetti disastrosi di aumenti di questa portata.
Dall’Unione Europea invece dovrebbero arrivare 100 miliardi fino al 2030, ma per il momento si tratta solo di buoni propositi e se il prezzo del gas non torna a livelli accettabili, cosa a quanto pare da escludere, in Italia si dovranno riaccendere le vecchie centrali a olio combustibile visto che quelle a carbone sono già in funzione e vanno a pieno regime.
A partire dal 1° ottobre sono ripartite anche le trivellazioni sia in mare che sulla terraferma a indicare che la transizione Green dovrà attendere finché non sarà risolta l’attuale crisi energetica che rischia di innescare un effetto domino di proporzioni mai viste prima.
I rischi maggiori per l’economia secondo la Federal Reserve
La situazione economica attuale è stata analizzata a fondo anche dagli esperti della Federal Reserve, secondo i quali i rischi maggiori per l’economia sono rappresentati dalle interruzioni nella catena di approvvigionamento, dalla carenza del mercato di lavoro e dall’impatto delle varianti del Covid con tutto ciò che comportano per via di chiusure e restrizioni connesse al rischio della loro diffusione.
Sono stati questi fattori, secondo il Beige Book della Federal Reserve, a determinare nell’ultima parte del terzo trimestre 2021 un rallentamento dell’economia.
La crescita economica c’è stata ma il ritmo è stato “da moderato a modesto” secondo la maggior parte dei distretti della Federal Reserve. Un rallentamento del ritmo di crescita si è verificato per via delle “interruzioni della catena di approvvigionamento, carenza di manodopera e incertezza sulla pandemia” spiegano gli esperti, che sottolineano come i segnali di una riduzione dei costi siano invece pochi.
Dalla Fed spiegano che la “maggior parte dei distretti ha riportato prezzi significativamente elevati, alimentati dalla crescente domanda di beni e materie prime” anche se molte aziende “sono state in grado di compensare l’aumento dei costi aumentando i prezzi di vendita”.
Il Beige Book della Fed spiega che molte aziende hanno operato degli aumenti dei prezzi indicando “una maggior capacità di trasferire gli aumenti dei costi ai clienti in un contesto di forte domanda” anche in vista di ulteriori aumenti dei costi nei prossimi mesi.
C’è poi il fattore della manodopera, con la carenza che “ha continuato a frenare la crescita” spingendo le imprese “ad aumentare i salari”. Sono le stesse imprese a riferire di aver dovuto aumentare “le retribuzioni per attirare nuovo personale e mantenere lo staff”.
Secondo la Federal Reserve, nonostante le prospettive sull’economia siano state abbastanza positive “l’inflazione in corso e le interruzioni della catena di approvvigionamento “hanno inasprito il sentiment di molti distretti federali”.
Il Beige Book ritiene che “le prospettive per l’attività economica a breve termine sono rimaste complessivamente positive, ma alcuni Distretti hanno notato una maggiore incertezza e un ottimismo molto più cauto rispetto ai mesi precedenti”.
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