Anche l’Irlanda e l’Estonia hanno deciso di aderire all’accordo globale che prevede l’introduzione di una corporate tax minima al 15% che andrà ad interessare a partire dal 2023 le multinazionali.

Si tratta di un conseguimento il cui valore è anche simbolico, quanto meno nel caso dell’Irlanda, che da molti anni è un punto di riferimento per gli investimenti delle multinazionali per via delle vantaggiose condizioni fiscali che offre.

L’accordo dei Paesi Ocse è stato già firmato ora da 134 membri sul totale di 140, con il sì di Estonia e Irlanda che giungono a ridosso della nuova riunione ministeriale Ocse che si terrà a Parigi. Per l’Irlanda la conferma dell’adesione all’accordo è arrivata direttamente dal ministro delle Finanza, Pascal Donohoe dopo che il governo ha dato il via libera.

L’Irlanda volta pagina?

Il ministro del Tesoro irlandese ha commentato la scelta di aderire all’accordo affermando: “è un punto di equilibrio tra la nostra competitività e il nostro posto nel mondo. Assicurerà che l’Irlanda sia parte della soluzione del problema, nel rispetto del futuro assetto fiscale internazionale. È una decisione difficile ma, credo, giusta e pragmatica”.

Lo stesso Donohoe ha anche spiegato che l’Irlanda non cesserà di essere attrattiva per gli investimenti delle multinazionali anche se abbandonerà quell’imposta societaria al 12,5% che la rendeva una delle mete favorite per gli investimenti da parte di grandi società e soggetti privati. Si tratta comunque di un punto di svolta in quanto questa politica ha caratterizzato l’Irlanda per almeno 20 anni a questa parte.

Agevolazioni fiscali e accordi mirati avevano infatti spinto a portare la sede centrale a Dublino diversi colossi big tech tra cui Google, Apple e Facebook.

Per le Pmi nessuna corporate tax

Non saranno toccate dall’introduzione della corporate tax prevista per il 2023 le piccole e medie imprese. Questa nuova aliquota riguarderà infatti oltre 1.500 società che in Irlanda danno lavoro a circa 400 mila persone, ma lascerà fuori tutte le piccole e medie imprese con un giro d’affari che non supera i 750 milioni di euro annui.

Ed è stata proprio questa rassicurazione, cioè quella di lasciar fuori le Pmi, a risultare determinante nel far pendere la bilancia a favore del sì all’accordo per la corporate tax da parte del governo di Dublino, che rispetto al giugno scorso ha cambiato posizione e ha quindi deciso di firmare l’intesa con gli altri Paesi dell’Ocse.

Non si tratta comunque dell’unico fattore, né del più importante nel cambio di direzione del governo irlandese. Persino più determinante è risultata essere la revisione del testo dell’intesa che nella sua nuova versione non fa riferimento a un’imposta “almeno del 15%” ma semplicemente “del 15%”.

In questo modo si dà un’indicazione certa a chi vuole investire, ma soprattutto vengono fugati i timori di Dublino circa la possibilità che una volta che la direttivà entrerà in vigore, Bruxelles possa decidere successivamente di imporre aliquote più alte come avrebbro voluto alcuni Paesi.

Donohoe ha precisato infatti: “la Commissione europea mi ha garantito che la direttiva sarà fedele all’intesa e non andrà oltre il consenso internazionale”.

Cosa manca per arrivare all’accordo sulla corporate tax

Soddisfazione per l’accordo raggiunto quindi nei vertici dell’Ue, con il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni che ha su Twitter ha scritto: “È un passo epocale ed estremamente positivo per gli sforzi collettivi dell’Europa per costruire un sistema globale più equo e stabile”.

E insieme al l’ok dell’Irlanda arriva anche a stretto giro quello del governo dell’Estonia. “Ci uniamo all’accordo sulla global tax” ha infatti dichiarato la premier Kaja Kallas, che ha poi tenuto a precisare che “non cambierà nulla per la maggior parte degli operatori economici dell’Estonia, e che riguarderà solo le filiali dei grandi gruppi multinazionali”. Al momento tra i Paesi dell’Ue resta fuori solo l’Ungheria.

Per il raggiungimento dell’accordo finale però mancano ancora diversi tasselli. Ci sono molti Paesi che spingono per ottenere delle esenzioni almeno parziali dalla corporate tax per alcune attività, inoltre ci sono diversi punti ancora da chiarire che riguardano il cosiddetto primo pilastro dell’accordo.

Resta infatti da capire come si farà per fare in modo che almeno una parte dei profitti siano tassati nel Paese nel quale la multinazionale opera effettivamente, anche nei casi in cui ha la sede centrale altrove. Ed è un punto questo che interessa in particolar modo proprio l’Irlanda.

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