Fin dai primi mesi in cui il Covid-19 ha fatto la sua comparsa in Italia e poi nel resto d’Europa, i media hanno spinto molto più sull’importanza dei vaccini che sulla necessità di trovare terapie efficaci ed implementare le cure domiciliari, due strade queste che invece sono diventate sempre più difficili da percorrere.

Abbiamo già parlato dell’efficacia del trattamento nelle fasi iniziali della malattia, e della necessità di puntare sulle cure domiciliari vista la comprovata esistenza di diverse terapie efficaci contro il Covid-19.

In questi giorni poi stiamo sempre più toccando con mano i limiti di efficacia dei vaccini sperimentali attualmente in circolazione, le percentuali di successo dei quali, contro le varianti, si dimostrano meno elevate di quel che tutti speravano.

Regno Unito e Israele, i due Paesi con le più alte percentuali di persone vaccinate stanno avendo seri problemi nel contenere la diffusione della temuta variante indiana (o variante Delta). In Israele stanno tornando alcuni obblighi come quello di indossare la mascherina, e nel Regno Unito le riaperture programmate per il 21 giugno sono slittate al 18 luglio.

In Italia la variante Delta potrebbe produrre gli stessi risultati nelle prossime settimane, così pure in molti altri Paesi del mondo che hanno scelto di percorrere la stessa strada, quella che punta a contenere la diffusione del virus attraverso misure restrittive e vaccini.

Ma se si trovassero delle cure efficaci contro il Covid? In realtà ve ne sono già almeno una dozzina che sono state utilizzate con successo da molti medici anche in Italia, tuttavia in un modo o nell’altro non è mai arrivato il benestare delle istituzioni. Dall’Aifa e dal ministero della Salute si continua a parlare solo di vaccini e prevenzione, ma per il trattamento nelle fasi precoci della malattia ancora nessuna indicazione.

L’avvertimento al MIT “necessità di trattamenti per tutte le fasi della malattia”

Le opzioni per il trattamento del Covid, ad oltre 1 anno e mezzo dalla sua comparsa, sono decisamente poche. Abbiamo dei vaccini sperimentali dei quali sappiamo molto poco e che stanno mostrando limiti sempre più evidenti di fronte alle nuove varianti in particolare, senza contare che la durata della protezione che offrono è comunque piuttosto breve.

Le terapie per il trattamento anche in ambito domiciliare del Covid non sono state riconosciute, quanto meno in Italia, ma questo non vuol dire che non esistano o che non siano efficaci e sicure.

Della necessità di puntare non solo sui vaccini ma anche sul trattamento delle fasi precoci della malattia ha parlato anche Rachel Cohen, direttore esecutivo nordamericano della Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi), un programma il cui scopo è sviluppare nuovi farmaci per malattie storicamente ignorate dalle case farmaceutiche.

Al MIT Technology Review, che ha dedicato un servizio su questi farmaci la Cohen ha parlato della “necessità di trattamenti per tutte le fasi della malattia” ed ha ricordato che “mai nella storia del controllo delle malattie infettive ci si è dichiarati soddisfatti con un solo set di strumenti”.

Uno dei risultati più importanti che l’utilizzo di terapie efficaci nelle fasi precoci della malattia permetterebbe di raggiungere è quello dell’abbassamento del tasso di ospedalizzazione. In Italia come nel resto del mondo è stato sottolineato più e più volte che non è tanto il tasso di mortalità della malattia a preoccupare, quanto il sovraccarico che produce per il sistema ospedaliero.

Ebbene la cosa più logica da fare sarebbe puntare sulle terapie domiciliari, ma per qualche ragione non meglio specificata in Italia il ministero della Salute sta opponendo una strenua resistenza cercando di disincentivare in tutti i modi il trattamento del Covid in ambito domiciliare e continua a suggerire di non fare sostanzialmente nulla (tachipirina e vigile attesa) finché o il malato guarisce da sé oppure lo si ricovera quando la malattia ha già raggiunto uno stato avanzato e le probabilità di salvare il paziente si sono assottigliate.

Un aspetto, quello dell’importanza del trattamento nelle fasi precoci della malattia, di cui si è parlato nell’ambito del MIT Technology Review. Le cure domiciliari permetterebbero di evitare l’ospedalizzazione “soprattutto in luoghi dove la capacità di terapia intensiva e di ricovero è molto limitata“, ha spiegato la Cohen.

Micheal Diamond: “questo potrebbe non essere l’ultimo Coronavirus in cui ci imbattiamo”

Trovare delle terapie efficaci nel trattamento della malattia data dal Sars-nCoV-2 diventa maggiormente importante se, come stiamo vedendo, il virus continua a mutare abbastanza rapidamente da eludere la risposta immunitaria nelle persone che sono state vaccinate.

Non solo, cercare nuovi farmaci serve per un’altra ragione molto importante secondo Cassandra Willyard, autrice del servizio di MIT Technology Review, il Sars-nCoV-2 è il terzo coronavirus a fare il salto di specie negli ultimi 20 anni, il che significa che questo “potrebbe non essere l’ultimo coronavirus in cui ci imbattiamo” come evidenzia Micheal Diamond, virologo alla Washington University School of Medicine.

L’amministrazione Biden ha già deciso di scommettere qualcosina anche sui farmaci per il trattamento delle fasi precoci della malattia. A metà giugno infatti è arrivato l’annuncio di alcuni funzionari del governo USA che hanno reso noto lo stanziamento di 3,2 miliardi di dollari per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci antivirali efficaci nel trattamento del Covid-19 e di altri eventuali virus potenzialmente pandemici.

L’amministrazione Trump dal canto suo aveva stanziato oltre 10 miliardi di dollari ma non per le cure, bensì per lo sviluppo dei vaccini nell’ambito dell’operazione Warp Speed.

Farmaci efficaci nel trattamento del Covid-19: le terapie anticorpali

Dei farmaci che si possono usare nel trattamento del Covid-19 si è parlato anche su MilanoFinanza, dove si parte dalla lista dei farmaci stilata nell’ambito del MIT Technology Review.

Tra le terapie efficaci elencate troviamo, per il trattamento dei pazienti più gravi affetti da Covid-19, il corticosteroide desametasone, che risulta in grado di ridurre di un terzo il rischio di morte.

Questa comunque non è l’unica terapia la cui efficacia sia riconosciuta a livello internazionale, infatti il MIT Technology Review ricorda che alcune aziende hanno ricevuto l’autorizzazione per l’utilizzo di emergenza degli anticorpi monoclonali realizzati in laboratorio ma che funzionano come quelli naturali, cioè si legano al virus e gli impediscono di infettare le cellule.

Su MF viene spiegato che “quando somministrati in anticipo, gli anticorpi monoclonali o le combinazioni di queste terapie hanno ridotto l’ospedalizzazione o la morte dal 70% all’87% in individui ad alto rischio di sintomi gravi o di ospedalizzazione”.

Si tratta comunque di farmaci che funzionano meglio nel caso di pazienti che non sono ancora in uno stato avanzato della malattia, motivo per cui ancora una volta un approccio tempestivo può fare la differenza, mentre limitarsi ad attendere che la situazione si aggravi con “paracetamolo e vigile attesa” si rivela controproducente.

La terapia a base di Regeneron che ha curato Donald Trump

Nel caso dell’ex presidente Usa, Donald Trump, la terapia comprendeva una combinazione di anticorpi di Regeneron che è risultata efficace anche con persone già ricoverate ma che non hanno ancora generato i propri anticorpi.

Secondo uno studio effettuato a giugno su 9.000 persone questa terapia si è dimostrata in grado di ridurre il numero di decessi del 20% sul totale delle persone trattate. Un vantaggio che però non si è esteso a quei pazienti che avevano anticorpi naturali.

Le terapie a base di anticorpi tuttavia presentano anche degli svantaggi che sono legati soprattutto a questioni di prezzo e al fatto che la somministrazione deve essere fatta a mezzo infusione o iniezione. Si tratta pertanto di soluzioni che mal si sposano con le risorse di Paesi a reddito basso.

Sono terapie che peraltro potrebbero dare risultati deludenti nel trattamento di alcune delle nuove varianti in circolazione. La FDA (Food and Drug Administration) il 25 giugno ha infatti sospeso momentaneamente la distribuzione del cocktail di anticorpi della Lilly per via della maggior incidenza di due varianti che non stavano rispondeno ai farmaci.

Farmaci contro il Covid-19: il Remdesivir

Uno dei farmaci antivirali in grado di inibire il processo di replicazione del virus è il Remdesivr, che è l’unico attualmente approvato per il trattamento del Covid-19. Il motivo sembrerebbe essere legato al fatto che al momento dell’esplosione della pandemia era uno dei pochi candidati ad essere stato testato sugli esseri umani.

Non ci sono ancora però dei dati ufficiali su quale sia l’effettiva efficacia di questo farmaco nel trattamento della Covid-19. Secondo alcuni studi è in grado di accorciare la durata della malattia, ma altri sembrano suggerire che non abbia un impatto significativo. Quel che è certo è che dall’OMS non ne viene raccomandato l’utilizzo.

Perché non ci sono ancora terapie approvate?

Su MilanoFinanza leggiamo che “lo sviluppo degli antivirali è rimasto indietro perché, prima del Covid-19, le aziende non avevano molti incentivi finanziari a produrre questi farmaci. Gli antivirali che esistono hanno come bersaglio solo 10 virus, e la metà di essi tratta l’HIV. Le infezioni croniche richiedono trattamenti più lunghi e quindi fanno fare più soldi alle case farmaceutiche”.

Intervenendo al MIT Technology Review, John Bamforth, direttore esecutivo ad interim di READDI, un partenariato pubblico-privato presso l’Università della Carolina del Nord fondata per sviluppare nuovi farmaci antivirali, ha spiegato che “se non c’è un mercato definito per un terapeutico non si investono fondi in quei tipi di terapeutici”.

Attualmente alcuni ricercatori sono impegnati nella ricerca di farmaci in grado di mirare alle proteine cellulari cruciali per la replicazione del virus, ma dal momento che la maggior parte dei farmaci antivirali permette di ottenere risultati soddisfacenti solo su un singolo virus, si spera di riuscire a trovare dei composti capaci di ostacolare intere famiglie di virus.

Sviluppare nuove terapie però richiede molto dempo, per questo riproporre composti già approvati può essere il modo più veloce per avere dei farmaci da usare nel trattamento del Covid-19.

In tal caso i test per la sicurezza sono già stati superati, e questo permette di superare con maggior facilità eventuali ostacoli normativi nel momento in cui si cerca di arrivare all’approvazione per nuovi usi.

Sono i composti già esistenti infatti ad essere oggetto di uno studio clinico a cura di DNDi chiamato ANTI-COV. Di recente i ricercatori si sono concentrati in particolare sul farmaco antiparassitario nitazoxanide in combinazione con uno steroide inalato.

La Cohen ha fatto sapere a tal proposito che “il consenso che sta emergendo è che occorre un forte antivirale o di una combinazione di antivirali con diversi meccanismi d’azione, combinati con qualche tipo di antinfiammatorio”.

Biden e il programma antivirale

Il presidente Usa Joe Biden nel suo programma antivirale per le pandemie ha inserito la sperimentazione di 19 antivirali che è già stata avviata. È previsto anche lo stanziamento di circa un miliardo di dollari per la creazione di un programma di scoperta di farmaci in grado di creare composti efficaci nel trattamento non solo del Covid-19 ma anche di altri virus.

Dall’amministrazione Biden è anche arrivata la conferma del prossimo acquisto di 1,7 milioni di dosi dell’antivirale monupiravir della Merck al costo complessivo di 1,2 miliardi di dollari. Questo farmaco era stato pensato inizialmente per il trattamento della comune influenza stagionale, ma con l’arrivo del Covid-19 è iniziata la sperimentazione per nuovi usi ed è già stata superata la fase 2 dei test.

Nel frattempo oltre 20 aziende biotenologiche e farmaceutiche hanno formato l’alleanza Intrepid, il cui scopo dovrebbe essere quello di fornire 25 nuovi farmaci che dovrebbero permettere il trattamento contro agenti patogeni virali che potrebbero rappresentare maggiori rischi di pandemia a cominciare dai vari coronavirus.

Ora esiste anche il Covid Moonshot, un consorzio internazionale formato da scienziati del mondo accademico, biotecnologico e farmaceutico che lavorano pro bono o a pagamento per lo sviluppo di farmaci capaci di inibire uno specifico enzima nel Sars-nCoV-2.

Attraverso il sistema del crowdfounding e del crowdsourcing chiunque ha la possibilità di presentare un progetto di farmaco e consultare il database per verificare quali sono stati già presentati. Attraverso questo sistema, al 28 giugno, il MIT TR ha segnalato che sono stati raccolti 17.976 disegni di molecole e sintetizzati o testati quasi 1.500.

La campagna vaccinale non procede ovunque con gli stessi ritmi

Nel considerare la validità della strategia di combattere il Covid-19 facendo affidamento sui faccini non si deve sottovalutare l’enorme disparità nell’andamento della campagna vaccinale nei diversi Paesi del mondo.

Per esempio negli Stati Uniti e nel Regno Unito oltre il 45% della popolazione ha già ricevuto la somministrazione completa di uno dei vaccini attualmente in circolazione, ma la situazione altrove è completamente diversa, come nella Repubblica democratica del Congo o in Ciad, dove il vaccino è stato somministrato solo allo 0,1% della popolazione.

“Stiamo assistendo a crisi a spirale nel subcontinente indiano, in America Latina e nelle ultime settimane in Africa” ha evidenziato Rachel Cohen spiegando che è proprio in questi contesti che si pone l’impellente necessità di avere a disposizione nuove terapie, anche se non è detto che una volta approvato un farmaco efficace questo risulti poi effettivamente accessibile in questi Paesi.

A tal proposito Bamforth di READDI ha dichiarato al MIT TR: “se dovessimo concedere la licenza per un farmaco, probabilmente metteremmo all’interno del contratto una formulazione che riguardi l’accesso globale. Dobbiamo assicurarci che questi farmaci siano accessibili a tutti i Paesi del mondo, non solo nel primo mondo che può permetterseli” ha aggiunto.

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