A un anno dall’arrivo del Covid-19 in Italia si pone l’obbligo di fare i conti con quel che è stato fatto, che peraltro tuttora continua a farsi, e coi risultati che la strada imboccata ha prodotto nei vari ambiti.
Più specificamente vogliamo prendere in esame in questo momento gli effetti che le servere misure di contenimento imposte nel nostro Paese e in alcuni altri Paesi del mondo hanno prodotto non tanto sull’economia ma in ambito sociale.
In particolare ci interessa osservare in che modo il lockdown e le altre misure restrittive hanno influito sulla qualità della vita, ad esempio facendo aumentare esponenzialmente il divario sociale, con un’esasperazione delle disuguaglianze senza precedenti nella storia recente.
Il dato relativo all’incremento del tasso di disuguaglianza di un Paese viene indicato dal cosiddetto coefficiente di Gini, un metodo introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini attraverso il quale si misura la distribuzione della ricchezza e del reddito da lavoro.
Il valore che ne deriva è un numero compreso tra 0 e 100, laddove con 0 si indica la situazione di ideale uguaglianza, mentre un valore pari a 100 indica il massimo livello di disuguaglianza sociale.
In Italia l’indice di Gini si attestava intorno a 34,8 nel 2019, per poi arrivare a 36,5 nel primo trimestre del 2020, fino a raggiungere quota 41,1 nel secondo trimestre. I dati sono il risultato di uno studio della Banca d’Italia che analizza l’impatto della pandemia di Covid sulla disuguaglianza del reddito da lavoro in Italia.
Nello studio di Bankitalia leggiamo infatti che “la pandemia ha colpito più duramente le famiglie a basso reddito da lavoro, dove si concentrano gli occupati che hanno minori possibilità di lavorare da casa, che svolgono lavori più instabili e in settori maggiormente esposti alla crisi. Ne è conseguito un significativo incremento della disuguaglianza del reddito da lavoro”.
Ora l’Italia risulta il sesto Paese tra quelli con un tasso di disuguaglianza più alto dell’Unione Europea, mentre se si prendono in esame solo i Paesi dell’Europa occidentale l’Italia è il Paese peggiore da questo punto di vista, secondo solo alla Spagna.
Con lockdown e restrizioni aumento preccupante di violazioni di diritti umani e violenza sulle donne
Elencare tutti gli effetti ‘collaterali’ di una politica di restrizioni che va avanti ormai da un anno richiederebbe molto tempo, pertanto ci concentreremo per ora solo su alcuni degli effetti che il lockdown e le altre misure restrittive imposte (a suon di Dpcm nel nostro Paese) hanno causato.
Facciamo prima di tutto una premessa: il mondo nel corso degli ultimi due secoli è migliorato sotto un certo numero di aspetti contrariamente a quanto si sarebbe istintivamente portati a pensare.
Dall’analisi di alcuni dati possiamo infatti riscontrare un netto calo della percentuale degli abitanti del Pianeta che soffrono la fame, la quale è crollata dal 96% del 1820 al 10% del 2015. Anche la mortalità infantile è drasticamente diminuita, passando dal 33% circa al 4,6% nel giro di un paio di secoli.
L’analfabetismo stesso è quasi scomparso, e la maggior parte degli abitanti del Pianeta vive ora in un Paese democratico o semi-democratico. Quello che osserviamo quindi è un trend assolutamente positivo per quel che riguarda questi aspetti di importanza tutt’altro che secondaria, trend interrotto ma non invertito, solo dalle guerre mondiali.
Quel che sta accadendo adesso invece mostra un vero e proprio cambiamento di tendenza e sta avvenendo sull’onda delle misure restrittive con cui alcuni Paesi del mondo stanno affrontando la pandemia da Covid-19. Per la prima volta insomma il mondo sta peggiorando per molti aspetti come livello di povertà e rispetto dei diritti umani.
Stando alle previsioni della Banca Mondiale all’indomani della pandemia un numero compreso tra 119 e 124 milioni di esseri umani finiranno col ritrovarsi in condizioni di povertà. In tutto il mondo stiamo assistendo ad una contrazione dei salari che è tuttora in corso come evidenzia nel suo ultimo rapporto l’ILO (International Labour Organization).
Secondo questa organizzazione le misure restrittive imposte nell’ambito della pandemia produrranno “una massiccia pressione al ribasso sui salari nel prossimo futuro, con donne e lavoratori a bassa retribuzione che saranno colpiti in modo sproporzionato dalla crisi”.
In questo contesto si avrà l’incremento delle disuguaglianze di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo, con un aumento della ricchezza in mano invece ai super ricchi del Pianeta che durante quest’anno di pandemia hanno visto aumentare il proprio patrimonio di qualcosa come 3,9 mila miliardi di dollari.
E purtroppo non è tutto, perché la politica di restrizioni adottata in alcuni Paesi sta producendo anche un inedito incremento dei tassi di abbandono scolastico. Assistiamo infatti alla chiusura delle scuole, con la sempre più presente didattica a distanza, che insieme alle difficoltà economiche delle famiglie rischia di provocare l’abbandono degli studi da parte di circa 24 milioni di alunni nel mondo.
Il dato viene sottolineato dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, il quale ha certificato che durante la pandemia 192 Paesi hanno chiuso le scuole. Questo, specie nei Paesi più poveri rischia di allontanare definitivamente gli alunni dal processo di apprendimento scolastico. “Più a lungo i bambini resteranno fuori dalla scuola, meno è probabile che vi faranno ritorno” spiegano dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia.
L’allarme per quel che riguarda la situazione delle conquiste di diritti e sicurezza, con particolare apprensione per le donne, viene lanciato dall’Onu, che ha sottolinea come in tutto il mondo si stia assistendo ad un incremento preoccupante delle violenze di genere.
In Italia questo fenomeno si sta verificando con particolare gravità, anche per via del fatto che si tratta di uno dei Paesi che ha imposto le misure restrittive più severe. Con il lockdown in particolare, ed in generale con l’obbligo di restare a casa i casi di violenza sulle donne si sono moltiplicati in modo esponenziale.
Durante i primi mesi di lockdown infatti si è verificato un picco di richieste di aiuto ai centri antiviolenza. L’aumento è stato del 73% circa rispetto allo stesso periodo del 2019, il che significa che per molte donne imposizioni come queste si sono rivelate una vera condanna a subire atti di violenza con poche o nessuna possibilità di rivolgersi alle reti di aiuto.
Vi è poi la questione dei diritti politici e civili di molte popolazioni tra le quali ancora una volta troviamo l’Italia. In molti Paesi infatti la pandemia da Covid-19 è stata strumentalizzata dai governi ed utilizzata per contrarre le libertà civili, che tornando all’Italia viviamo tuttora come limitazioni di molti dei diritti garantiti dalla stessa Costituzione.
“Brandendo la pandemia come pretesto, le autorità di alcuni Paesi hanno adottato severe misure di sicurezza e adottato misure di emergenza per sopprimere le voci dissonanti, abolire la maggior parte delle libertà fondamentali, mettere a tacere i media indipendenti e ostacolare il lavoro delle organizzazioni non governative” ha dichiarato Antonio Guterres, segretatio generale delle Nazioni Unite nel corso del suo intervento al Consiglio annuale per i diritti umani.
Tra i Paesi occidentali in cui si sta profilando questo genere di scenario troviamo anche la Francia, dove il governo si è servito dell’emergenza Covid per imporre la “legge di sicurezza globale”, aspramente criticata da più fronti tra cui la Commissione per i diritti umani dell’Onu, e contestata dai cittadini con manifestazioni di protesta.
Era proprio necessario imporre restrizioni così severe?
Non tutti i Paesi del mondo hanno gestito l’emergenza Coronavirus allo stesso modo, ma i media mainstream tendono ad evidenziare il fatto che altri grandi Paesi dell’Ue come Francia e Germania, si stiano muovendo abbastanza in linea con le scelte dell’Italia, invece di descrivere il quadro complessivo.
Nel resto del mondo infatti le cose vanno in modo molto diverso, sia in Paesi più poveri che in Paesi più ricchi del nostro, sia in Paesi con un sistema sanitario migliore che in quelli che ne hanno uno peggiore del nostro, sia in Paesi con uno stile di vita simile al nostro che in Paesi con uno stile di vita completamente diverso.
Dopo una fase iniziale che imponeva un approccio quanto più possibile prudente, la maggior parte dei Paesi del mondo ha poi allentato le restrizioni ed ora la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive in una condizione di normalità o quasi normalità, basti pensare a Russia, India, Cina, Giappone, Brasile, Australia, per non parlare delle europee Svezia e Bielorussia.
Il che peraltro è più che giustificato dai dati sul Covid (dei quali ormai disponiamo in grande quantità) che mostrano in modo evidente come la malattia sia assolutamente curabile ed abbia un bassissimo tasso di letalità recentemente indicato dall’Oms intorno allo 0,14% (quello dell’influenza stagionale si aggira intorno allo 0,10%).
I dati relativi alla letalità del Covid naturalmente si basano su delle stime che vengono di volta in volta perfezionate, ma che il Covid sia molto più vicino all’influenza che a virus veramente pericolosi come il Vaiolo (30%), l’Ebola (90%) o la stessa influenza spagnola (2,5%) è ormai abbondantemente assodato.
Tuttavia in alcuni Paesi tra i quali figura l’Italia, l’approccio è stato fin dall’inizio quello del massimo allarme, e le misure di contenimento adottate sono state nel nostro Paese tra le più rigide di tutto il mondo.
E qual è stato il risultato? L’Italia non solo risulta essere il Paese con il più alto numero di decessi Covid registrati per 100 mila abitanti, ma anche uno dei Paesi in cui si registrano i maggiori danni in svariati ambiti proprio per via delle severe misure restrittive imposte da ormai un anno.
I dati Istat relativi ai decessi registrati in Italia nel corso del 2020 ci aiutano ad avere un quadro più dettagliato di quale sia la differenza tra i decessi che si registravano in Italia ogni anno prima del Covid, e quali invece dopo il Covid.
Alla luce dei dati risultano evidenti due realtà in particolare: in primis non vi è alcun rapporto di causa ed effetto tra la comparsa del Covid in Italia e il picco di decessi (il Covid circolava già da novembre-dicembre 2019, il picco dei decessi si è registrato intorno a metà marzo 2020), così come non vi è alcun rapporto di causa ed effetto tra l’introduzione delle misure restrittive e l’andamento della curva dei contagi.
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