La crisi economica dovuta alle misure restrittive imposte dall’esecutivo nel dichiarato intendo di contenere la diffusione del Coronavirus ha prodotto i suoi effetti sul numero di imprese costrette a chiudere, sui livelli di occupazione, e tra le altre cose anche sul numero di immobili in vendita.
Secondo il rapporto semestrale sulle aste immobiliari del Centro Studi Sogeea presentato in Senato infatti stiamo assistendo ad un forte incremento degli immobili in vendita, tra i quali abbiamo non solo case, ma anche alberghi, e perfino conventi e castelli.
Il fenomeno delle abitazioni all’asta risulta in netto peggioramento per via della crisi economica, con un dato particolarmente allarmante visto che si tratta di un’impennata degli immobili in vendita del 63,5%.
Nel mese di luglio il numero degli immobili finiti all’asta era di 9.262 unità, ma a distanza di appena sei mesi è arrivato a 15.146. Nel presentare il rapporto, il Centro Studi Sogeea ha lanciato l’allarme segnalando che migliaia di famiglie italiane stanno perdendo la propria casa perché non sono più in grado di pagare il mutuo.
Il presidente di Sogeea e direttore del Centro Studi, Sandro Simoncini, ha spiegato che “serve un sostegno vero per chi non riesce più a pagare il mutuo e vuole mantenere la sua casa: un fondo di garanzia che consenta alle famiglie di avere un preammortamento di due anni senza pagare il capitale ed il prolungamento della durata residua del mutuo, in modo da diminuire drasticamente la rata mensile”.
Boom di immobili all’asta soprattutto nelle isole
Il rapporto indica che il maggior numero di case finite all’asta si trova nel Nord del Paese, dove si registra una crescita del loro numero del 27,7%. Il primato assoluto va alla Lombardia, dove si è arrivati a 2.100 immobili, poi troviamo il Lazio con 1.727 immobili ma qui l’incremento è decisamente più preoccupante attestandosi intorno al 118%.
In Sicilia gli immobili finiti all’asta sono 1.564, ma l’incremento è ancora più spaventoso con un +250%. Pessima anche la situazione nel Sud del Paese, dove gli immobili finiti all’asta nel secondo semestre del 2020 sono aumentati quasi del 300%, passando da 584 a 2.105, per l’esattezza l’incremento è stato del 284%.
Nel Veneto la situazione invece non è peggiorata ma è persino migliorata, così pure in Liguria e Molise, ma si tratta solo di eccezioni. Nel rapporto si legge che “i dati dimostrano come sia sempre la fascia di reddito medio-bassa a pagare il tributo più rilevante alla crisi: il 66% delle abitazioni all’asta ha un prezzo inferiore ai 100.000 euro, percentuale che sale addirittura fino all’89% se si prendono in esame anche gli immobili appartenenti alla fascia tra 100.000 e 200.000 euro”.
Tra gli immobili finiti all’asta anche castelli e alberghi
Non sono solo le case a finire all’asta, ma persino castelli e alberghi. Sono finiti all’asta infatti 4 castelli, 15 ospedali, 8 teatri e 17 conventi. Il presidente Simoncini ha spiegato che “i dati riguardanti le categorie evidenziano come il drastico quadro nazionale sia indirizzato verso quelle difficili condizioni da cui, in questo momento, nessuno può fuggire”.
Ad essere messi all’asta sono persino gli alberghi, e vista la crisi dell’intero settore turistico la cosa non può certo sorprendere. Negli ultimi 6 mesi del 2020 il numero di immobili destinati a strutture ricettive finiti all’asta è aumentato del 7%, quindi tra essi troviamo hotel, motel, bed & breakfast, campeggi e via dicendo.
Inutile sottolineare come abbia inciso la lunga chiusura obbligata ed il durissimo colpo assestato all’intero settore del turismo, il più penalizzato dalle misure restrittive imposte coi vari DPCM da ormai un anno a questa parte.
Dal rapporto emerge che un immobile su tre di quelli all’asta è al Nord, me tra le Regioni è il Lazio ad avere il più alto numero di strutture ricettive all’asta (16), segue la Sicilia con 15, e la Sardegna con 13.
Un ultimo dato su cui è il caso di riflettere riguarda il valore degli immobili adibiti a strutture ricettive che sono finiti all’asta, che nel 55% dei casi ha un prezzo inferiore al milione di euro, il che conferma ulteriormente come il prezzo della crisi venga pagato principalmente dai piccoli imprenditori.
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