Il tema dell’obbligatorietà del vaccino contro il Covid-19 continua a far discutere il mondo scientifico ed inevitabilmente quello politico, e ci si ingegna per fare in modo che a vaccinarsi siano almeno i 2/3 della popolazione italiana, traguardo che dando una rapida occhiata ai numeri di cui siamo in possesso oggi, appare quanto mai irraggiungibile.
Dal vaccine day al vaccino a vita
Il vaccino contro il Covid-19 che è arrivato in Italia e nel resto d’Europa appena un paio di giorni fa, prevede una dose di richiamo dopo tre settimane dalla prima iniezione, dopodiché, stando a quanto fanno sapere dalla stessa OMS, potrebbe essere necessario effettuare un richiamo annuale, proprio come accade con l’influenza stagionale.
Il vaccino contro il Covid non può essere somministrato ai ragazzi di età inferiore a 16 anni, e probabilmente neanche alle donne in stato di gravidanza o in allattamento. Tutti gli altri, a meno che la loro storia clinica non lo permetta, potranno assumere il vaccino anti Covid, che prevedrà evidentemente un richiamo annuale, se non persino più frequente.
Il vaccino Pfizer-Biontech che è quello che viene somministrato in questi giorni in Italia e nel resto d’Europa, ha una efficacia che secondo quanto fanno sapere dalla casa farmaceutica si aggira intorno al 95%.
Chi si sottopone alla vaccinazione oggi riceve una liberatoria da compilare nella quale sono anche riportati gli effetti collaterali finora riscontrati e la frequenza con cui sono stati rilevati. Inoltre nel modulo vi sono alcune domande cui chi si sottopone alla vaccinazione è tenuto a rispondere, che riguardano il suo stato di salute e la sua storia clinica, eventuali allergie, intolleranze ecc…
Polemica tra Roberto Burioni e Heather Parisi
Nei giorni scorsi il tema dell’obbligo vaccinale contro il Covid-19 ha coinvolto anche personalità di spicco del mondo dello spettacolo, come Heather Parisi, la quale via social aveva dichiarato il giorno della vigilia di Natale che né lei né la sua famiglia si sarebbero sottoposti al vaccino per il Coronavirus.
“Io e la mia famiglia non faremo il vaccino anti-Covid perché è fuor di dubbio che si tratta di un vaccino sperimentale di cui non si ha avuto modo di vedere gli effetti nel breve, nel medio e nel lungo periodo” sono state le parole della showgirl.
Parole che sono state riportate dai vari media, tra cui Il Fatto Quotidiano con l’autore del pezzo che ha poi sentenziato che le affermazioni della Parisi sarebbero “prive di qualunque base scientifica”.
Viene naturale domandarsi dunque se l’autore del pezzo sia al corrente del fatto che il Covid-19 ha fatto la sua comparsa in Italia solo a fine febbraio 2020, e che non è trascorso neppure un anno da allora, il che rende matematicamente impossibile osservare quali siano gli effetti del vaccino, se non nell’immediato, quantomeno nel medio e nel lungo periodo.
Evidentemente per alcuni professionisti dell’informazione persino la matematica è un’opinione, cosa che rimanda ancora una volta al bipensiero di orwelliana memoria.
Le dichiarazioni di Heather Parisi però non hanno lasciato indifferente Roberto Burioni, docente all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, il quale ha condannato senza mezzi termini le parole della showgirl in un post su Twitter dove scrive: “più che essere attaccata, se non fa il vaccino e si ammala si attacca. Al tram”.
Queste le parole di Burioni, che nei giorni scorsi aveva infatti espresso con enfasi la propria convinzione in merito alla necessità di sottoporsi al vaccino anti-Covid. “Vacciniamoci tutti, vacciniamoci presto” aveva dichiarato “È la via d’uscita da questo incubo. Io mi vaccinerò appena possibile“.
Le Faq sul sito dell’Aifa: del vaccino anti-Covid si sa pochissimo
Il mondo scientifico è diviso sulla questione dell’obbligo per il vaccino contro il Covid-19, e molti di coloro che operano in ambito sanitario sono tutt’altro che intenzionati a sottoporsi ad un vaccino completamente nuovo sotto l’aspetto del suo funzionamento.
Si tratta infatti del primo vaccino della storia ad Rna, ma non solo, perché per via dei tempi stretti non vi è stato modo di approfondire ancora molti aspetti, dagli effetti collaterali alla sua durata ed efficacia.
Sul fatto che del vaccino contro il Covid-19 si sa ancora molto poco non possiamo che andare a verificare quanto divulgato sul sito stesso dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), dove nella sezione delle FAQ si tenta di chiarire, in modo tuttavia molto vago, eventuali dubbi sul vaccino, fornendo quelle poche informazioni di cui si è attualmente in possesso.
Il primo punto che andrebbe chiarito riguarda le tempistiche della sperimentazione, che come spiegato sullo stesso sito dell’Aifa, sono state abbreviate per avere il prodotto il più presto possibile. Ma questo è stato fatto a discapito della sicurezza del vaccino? Sul sito dell’Aifa spiegano che non è così, ma vediamo esattamente cosa dicono.
“Gli studi sui vaccini anti COVID-19 sono iniziati nella primavera 2020, perciò sono durati pochi mesi rispetto ai tempi abituatli” si legge nella domanda n. 5 della sezione FAQ dell’Aifa, dove viene specificato che il processo di sperimentazione ha visto la partecipazione di un elevato numero di persone, dieci volte superiore agli standard degli studi sui vaccini.
Un numero di soggetti di studio più alto quindi, e su questo nulla da eccepire, ma è stato chiaramente impossibile osservare quali sono gli effetti nel medio e nel lungo termine, visto che sono trascorsi meno di 10 mesi dall’inizio degli studi. Infatti del vaccino anti-Covid si continua a sapere molto poco, come si evince sempre dalla sezione delle Faq dell’Aifa.
Quanto dura la protezione indotta dal vaccino anti-Covid?
Questa è la domanda n. 9 sul sito dell’Aifa, e la risposta non lascia molto spazio all’interpretazione. Quanto alla durata della protezione non si sa ancora nulla. Riportiamo in virgolettato quanto leggiamo sulla pagina delle FAQ dell’Aifa: “la durata della protezione non è ancora definita con certezza perché il periodo di osservazione è stato necessariamente di pochi mesi”.
L’Aifa però fa un’ipotesi, ed è tutto ciò che abbiamo circa la durata della protezione che il vaccino anti Covid garantirebbe a partire da una settimana dopo la seconda iniezione. “Le conoscenze sugli altri tipi di Coronavirus indicano che la protezione dovrebbe essere di almeno 9-12 mesi”, ma come dicevamo, nessuna certezza.
Chi fa il vaccino anti-Covid può trasmettere il virus?
La domanda n. 11 nella sezione delle Faq sul sito dell’Aifa tocca probabilmente il punto centrale di tutta la questione vaccini, visto che si parla della possibilità di renderlo obbligatorio per tutelare il diritto alla salute degli altri.
“Le persone vaccinate possono trasmettere comunque l’infezione ad altre persone?” recita la domanda, ma la risposta dell’Aifa è ancora una volta: non lo sappiamo. Sul sito infatti viene spiegato che “è necessario più tempo per ottenere dati significativi per dimostrare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone”.
Inoltre viene specificato poi: “sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti Covid-19”.
In altre parole per ora, e non è dato sapere per quanto tempo, vaccino o no le misure di contenimento dovranno continuare a limitare le libertà individuali dei cittadini nonostante il vaccino. Insomma tutti coloro che credevano che questa sarebbe stata la panacea di ogni problema con le misure di contenimento dovrà rassegnarsi all’idea che la strada è ancora probabilmente molto lunga.
Vaccino anti-Covid-19, ancora domande senza risposta
Non sono poche le domande che restano senza risposta, ma proviamo a vederne almeno alcune. La domanda n. 12 per esempio, dove si chiede se sia possibile, per chi esegue la prima dose con il vaccino Covid-19 mRNA BNT162b2 (Comirnaty) fare la seconda dose con un altro vaccino anti Covid-19.
Anche qui l’Aifa semplicemente non lo sa. “Non ci sono ancora dati sulla intercambiabilità tra diversi vaccini, per cui chi si sottopone alla vaccinazione alla prima dose con il vaccino COVID-19 mRNA BNT162b2 continuerà a utilizzare il medesimo vaccino anche per la seconda fase”, insomma nel dubbio meglio non rischiare.
Senza risposta anche la domanda n. 20 circa la possibilità delle donne incinte o in stato di gravidanza di sottoporsi al vaccino anti-Covid-19. Le donna in stato di gravidaza o che stanno allattando possono vaccinarsi? L’Aifa non lo sa. “I dati sull’uso del vaccino durante la gravidanza sono tuttora molto limitati, tuttavia studi di laboratorio su modelli animali non hanno mostrato effetti dannosi in gravidanza”.
Quindi possono vaccinarsi? Dopo un rocambolesco giro di parole la risposta dell’Aifa si conclude così: “in generale, l’uso del vaccino durante la gravidanza e l’allattamento dovrebbe essere deciso in stretta consultazione con un operatore sanitario dopo aver considerato i benefici e i rischi”.
In altre parole sembra si stia suggerendo di affidarsi, per la risposta a questa domanda, ad un semplice operatore sanitario, che dovrebbe analizzare rischi e benefici e stabilire se sia il caso o meno di sottoporre una donna incinta o che allatta al vaccino anti-Covid.
Una volta fatto il vaccino si può tornare alla vita di prima?
Non c’è stato bisogno di girarci molto intorno, la risposta a questa domanda da parte dell’Aifa è stata quanto mai chiara, ed è No. “Anche se l’efficacia del vaccino Covid-19 è molto alta (oltre il 90%), vi sarà sempre una porzione di vaccinati che non svilupperò la difesa immunitaria, inoltre, ancora non sappiamo in maniera definitiva se la vaccinazione impedisce solo la manifestazione della malattia o anche il trasmettersi dell’infezione”.
Niente da fare quindi per quanti speravano che la vaccinazione anti-Covid avrebbe risolto il problema dei lockdown a intermittenza, delle limitazioni delle libertà individuali garantite dalla Costituzione e tutto il resto.
L’Aifa, dopo aver scodellato l’ennesimo “non sappiamo” ha anche confermato i timori: “essere vaccinati non conferisce un ‘certificato di libertà’ ma occorre continuare ad adottare comportamenti corretti e misure di contenimento del rischio di infezione”.
Vaccino obbligatorio per operatori sanitari e poi?
E tuttavia le innumerevoli domande ancora senza risposte non sembrano affatto al centro del dibattito di questi giorni, che invece è totalmente incentrato sulla presunta necessità di imporre il vaccino, per cominciare, agli operatori sanitari.
Alcune delle posizioni che sono state espresse sono leggermente più moderate di altre, ma tutte convergono alla fine sulla stessa conclusione. La domanda sembra essere non tanto se il vaccino debba essere reso obbligatorio oppure no, ma quanto aspettare prima di renderlo obbligatorio.
Le opinioni cui i media mainstream danno risalto si discostano di poco le une dalle altre, ad esempio il presidente della Consulta di Bioetica Maurizio Mori ha spiegato all’ANSA: “renderei obbligatorio il vaccino anti-Covid solo quando sarà chiarito che la persona vaccinata non è più contagiosa per gli altri, ossia che il vaccino garantisca sia il vaccinato che chi ancora non ha avuto la dose”.
La strada dell’obbligo potrebbe celare alcune insidie secondo Mori, che suggerisce: “in questa fase bisogna essere duttili, insistere sull’obbligo finirebbe per provocare solo delle alzate di scudi. Questo è il momento in cui serve maggiore chiarezza, far capire alla gente che se il vaccino è sicuro, farlo è nell’interesse sia dell’individuo che della collettività”.
La strada della cautela circa l’idea di imporre il vaccino viene indicata anche dal presidente del Comitato nazionale di bioetica (Cnb) Lorenzo D’Avack, che all’Ansa ha dichiarato: “sarei abbastanza cauto rispetto all’ipotesi di obbligatorietà per il vaccino anti-Covid: ritengo che eticamente obbligare ad un trattamento sanitario debba rappresentare assolutamente un’eccezione”.
La cosa migliore quindi, secondo D’Avack è, “in questa prima fase” incentivare “la propaganda a favore della vaccinazione. L’obbligo dovrebbe essere considerato come una extrema ratio”.
Ippolito: “tutti gli operatori sanitari devono vaccinarsi, se non vogliono devono essere sospesi dal servizio”
Tutt’altro che moderata la posizione di Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani di Roma, che alla carrellata di dubbi lasciati dall’Aifa risponde con granitiche certezze.
“Tutti gli operatori sanitari, a partire dai medici, devono vaccinarsi contro il Covid e se non vogliono essere vaccinati devono essere sospesi dal servizio perché, appunto, non possono essere idonei al servizi che svolgono” dice Ippolito, forse dimentico del fatto che ad esprimere perplessità sulla vaccinazione anti Covid sono la maggioranza di questi, e che questi operatori sanitari sono gli stessi che fino a ieri venivano acclamati come eroi per essere stati in prima fila specie nelle fasi più acute dell’emergenza.
Eroi che evidentemente non impiegano molto, almeno dal punto di vista di Ippolito, a diventare soggetti “non idonei al servizio che svolgono”. Ippolito ha poi sottolineato che ci sono “delle categorie professionali che devono essere vaccinate assolutamente” nonostante non si sappia neppure se il vaccino protegga effettivamente anche gli altri dal contrarre la malattia o solo il soggetto vaccinato.
Ippolito ancora una volta non ha dubbi, il motivo per cui ci si deve vaccinare specie se si è operatori sanitari, è per “proteggere se stessi ma anche gli altri, per i contatti estesi che le stesse categorie devono avere con la popolazione. Chi non lo accetta non può esercitare determinate professioni”.
Quindi in conclusione “tutti gli operatori sanitari non possono esimersi dall’essere vaccinati, poiché rappresentano fonti di rischio per gli altri”. E se non si vaccinano? La soluzione è semplice per il direttore scientifico dello Spallanzani, “andrebbero sospesi dal servizio, poiché non idonei al suo svolgimento”. Come accennato, il passo è breve.
I medici disposti a vaccinarsi sono una minoranza
Solo un paio di settimane fa Repubblica titolava: “L’allarme del governo: ‘dobbiamo convincere i medici a vaccinarsi” e nel testo dell’articolo firmato da Michele Bocci si leggeva: “medici, infermieri e altri dipendenti del sistema saranno i primi a ricevere le dosi e si teme che l’adesione non sia alta. Al ministero e all’Istituto superiore di sanità sono preoccupati per la scarsa tendenza a vaccinarsi di chi lavora in sanità”.
E ancora: “quando si fa la campagna anti influenzale, a esempio, le adesioni negli ospedali non superano, a seconda delle Regioni, il 30-40%”, e per questo vaccino sperimentale le cose potrebbero andare persino peggio a quanto pare.
Già, perché stando a quanto riportato dall’Ansa, il dato relativo agli operatori sanitari disposti a vaccinarsi sarebbe preoccupante. Si menziona in particolare il caso delle Rsa di Pavia, dove solo due operatori su dieci sono disposti a ricevere il vaccino anti-Covid.
Una ristretta minoranza insomma sarebbe pronta a ricevere il vaccino, e stiamo parlando di chi lavora in ambito sanitario, difficile credere che il resto della popolazione sia particolarmente incline a porgere il braccio alla siringa.
A descrivere questo quadro è la stessa direttrice generale di Ats Mara Azzi, che ha spiegato alla Provincia di Pavia: “bisogna cogliere a pieno l’importanza di questo vaccino e gli operatori delle case di riposo non possono sfuggire a questo”.
La Azzi ha poi aggiunto anche “non è pensabile che solo il 20% degli operatori delle Rsa voglia tutelarsi contro il virus. Quando si è a contatto giorno e notte con persone anziane e fragili ci sono i presupposti per pensare che nei loro confronti pesi un vero e proprio obbligo”. Per cominciare però sarebbe forse il caso di dissipare qualche dubbio: fare il vaccino tutelerà dal contrarre la malattia anche gli altri o solo chi riceve la dose? L’Aifa non lo sa.
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