Il rigido lockdown imposto dal governo italiano ignorando le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico, continua a produrre i suoi effetti sull’economia del Paese, che non riesce ancora a ripartire.
È la stessa Confesercenti a lanciare l’allarme avvertendo che i consumi ancora non stanno recuperando. Ad oggi si sono persi circa 59,2 miliardi di euro di consumi, stando ai dati aggiornati, un calo significativo che è motivato dal clima di pesante incertezza, ma anche dalla riduzione dei redditi da lavoro.
Nel settore dell’abbigliamento le vendite sono quasi dimezzate, e vanno molto male anche ristoranti e attività ricreative. Gli Italiani insomma evitano le spese che ritengono non strettamente necessarie, non vanno a mangiare fuori e tagliano le spese per intrattenimento e cultura.
Crolla la spesa per spettacolo e cultura, calzature e abbigliamento
Dopo sei mesi dall’inizio del lockdown il bilancio dei consumi è ancora in negativo. Se prendiamo in considerazione il periodo che va da marzo ad agosto infatti le famiglie italiane hanno speso in beni e servizi mediamente 2.300 euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Complessivamente i mancati consumi delle famiglie italane raggiungono i 59,2 miliardi di euro dall’inizio dell’emergenza ad oggi.
Le stime, come accennato, sono di Confesercenti, che ci fornisce anche un quadro più dettagliato. Iniziamo dalle spese delle famiglie per ricreazione, spettacolo e cultura, che sono state drasticamente interrotte nei mesi di marzo e aprile per via del lockdown generale imposto dal governo Conte, dopodiché si è registrata una lentissima ripartenza.
I dati indicano infatti che a quattro mesi dalla riapertura delle attività, tutt’ora gravate da limitazioni peraltro, ancora non si è visto un aumento dei consumi ben definito. Molti italiani hanno preferito continuare a ridurre le spese non indispensabili, sicché nei sei mesi che vanno da marzo ad agosto la spesa media delle famiglie per prodotti non alimentari è scesa mediamente di 1.170 euro.
Si riducono soprattutto le spese nei settori abbigliamento e calzature, con in media 278 euro in meno a famiglia per un totale di 7 miliardi di euro di consumi che non ci sono mai stati. Nel settore dello spettacolo e nella cultura si è registrato un altro importante crollo dei consumi, pari a 195 euro in meno a famiglia, per un totale di 5 miliardi di euro in sei mesi.
Infine drastico calo dei consumi anche per mobili e arredamento, dove sempre nel periodo da marzo ad agosto si registra un calo per famiglia di 166 euro, per complessivi 4,2 miliardi in meno.
Calo dei consumi anche per i pubblici esercizi
Non riesce a ripartire nemmeno il settore dei pubblici esercizi, che nel semestre marzo – agosto registra una flessione di 207 euro per nucleo familiare, per una perdita dei consumi complessiva di circa 5,5 miliardi di euro.
Ci sono diversi fattori che incidono sul calo dei consumi, o più che altro sulla mancata ripresa degli stessi anche dopo la fine del lockdown. In particolare influiscono i riflessi dell’emergenza sulla disponibilità economica delle famiglie, ma se in alcuni casi si tratta di incertezza che aumenta naturalmente la propensione al risparmio, in altri c’è stata una flessione consistente dei redditi da lavoro.
Per i dipendenti del settore privato la flessione del reddito da lavoro registrata si attesta intorno al -11,3%, mentre per i lavoratori autonomi la flessione è persino più pesante, attestandosi intorno al -13,4%.
A pagare il prezzo più alto delle misure imposte durante il periodo di lockdown sono i negozi tradizionali, visto che non solo la spesa delle famiglie si è ridotta, ma parte di essa è stata dirottata verso negozi online, che hanno sottratto una grossa fetta del mercato ai negozi fisici.
in questi sei mesi la distribuzione tradizionale ha subito complessivamente un calo delle vendite del 12,1%. Per abbigliamento e pellicceria il calo registrato è stato un vero e proprio tracollo, vista la riduzione del 41,1%, ma non se la passano molto meglio i negozi di calzature (-37,8%) né bar e ristoranti (-30,3%).
Il rischio di un “avvitamento al ribasso”
Assodato che i consumi in Italia ancora non sono riusciti a ripartire a sei mesi dall’inizio dell’emergenza Covid-19, resta da capire cosa possiamo aspettarci negli ultimi mesi dell’anno e in seguito.
Il rischio che corriamo è quello di un “avvitamento al ribasso” motivo per cui è necessario dare “nuove certezze alle famiglie ed ai lavoratori”, altrimenti potrebbe verificarsi una riduzione permanente della spesa.
In tal senso occorre dare maggiori garanzie, tenendo conto del fatto che ci sono diversi fattori che possono incidere: come la stabilizzazione del lavoro agile su livelli significativamente alti, l’incertezza rispetto alla ripresa della pandemia o al peggioramento delle proprie condizioni economiche. A far paura è anche la possibile introduzione di nuove imposte per far fronte alla crisi.
Da questa serie di elementi potrebbe innescarsi il meccanismo dell’avvitamento al ribasso, e per questo occorrono nuove certezze per i lavoratori e per le famiglie. Per riuscire a raggiungere questo obiettivo si deve necessariamente puntare sulla ripartenza delle imprese, e per farlo serve un grande piano di sostegno e di riconversione e di digitalizzazione delle attività.
In questo modo si può riuscire a ristrutturare il tessuto imprenditoriale affinché sia in grado di superare la crisi attuale, tornando sul binario della crescita e ricominciando a creare posti di lavoro.
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