Esiste ancora il rischio che il governo metta una tassa patrimoniale? E una tassa patrimoniale sui soldi all’estero? Un interrogativo quest’ultimo che non tutti si pongono, in quanto la maggior parte dei comuni contribuenti italiani sono in particolare preoccupati che con gli effetti della crisi economica che arriveranno nell’ormai vicino autunno, scatterà una patrimoniale sui propri beni in Italia.

Ma cosa succederà con l’arrivo dell’autunno? Secondo gli esperti di scenari economici è necessario fare un’analisi a cominciare dai 25 miliardi destinati al decreto agosto, coi quali il nostro deficit ufficiale del 2020, vale a dire il rapporto tra deficit e PIL, raggiungerà l’11,9% e per fine 2020 arriverà intorno al 14%.

Magari qualcuno ha dimenticato quali fossero le cifre cui eravamo abituati prima dell’emergenza, quindi ci pensiamo noi a fare un ‘refresh’. Prima che esplodesse l’emergenza coronavirus il governo italiano aveva combattuto per poter aumentare il rapporto deficit-Pil a 2,4% e rischiava di incorrere nel declassamento delle agenzie di rating, con una conseguente impennata dello spread.

Alla fine delle estenuanti trattative tra il governo Conte e Bruxelles, alla fine è stato approvato un rapporto deficit-Pil del 2,04%. Ora invece si parla dell’11,9% che dventerà il 14% entro la fine dell’anno, e naturalmente non sono esattamente le migliori premesse.

Molti ‘addetti ai lavori’ ritengono che sia principalmente questo il motivo per cui, anche dopo l’approvazione del Recovery Fund, in Italia continua a sussistere il rischio che venga introdotta una tassa patrimoniale.

Come fa l’Italia a far fronte a un deficit così alto?

Che l’Italia non abbia alcuna possibilità di riuscire nei prossimi mesi o nei prossimi anni a ridurre l’ammontare del proprio debito pubblico appare lapalissiano. Non ne era in grado quando il debito pubblico si attestava intorno al 130% del PIL del Paese, sul quale naturalmente vanno calcolati poi gli interessi, di certo quindi ne sarà ancor meno in grado ora.

Non si tratta di una sua specifica incapacità, spiegano gli esperti di StrategieEconomiche, che osservano: “nessun governo al mondo è in grado di fare ciò, perché l’economia si basa ormai sul debito strutturale dei governi che può solo incrementarsi”.

Gli stessi esperti però sottolineano un’altra possibilità: “ciò che i governi possono fare è modulare il denominatore del rapporto debito/Pil, ossia il PIL“. L’Italia però, a differenza degli altri Paesi dell’Ue, da quando questa nuova normalità economica è stata introdotta, non è mai riuscita a migliorare tale denominatore in oltre 10 anni in cui si sono alternati governi di ogni colore.

Riforme strutturali o redistribuzione di liquidità?

L’analisi degli esperti di StrategieEconomiche prosegue sulla differenza tra redistribuzione di liquidità e riforme strutturali, sottolineando che “l’unica cosa che i governi italiani hanno fatto in passato è redistribuire una parte di liquidità creata dal proprio debito pubblico, assegnandola a varie categorie della società volta per volta selezionate in base alle preferenze dei partiti che in quel momento componevano il governo”.

Ma qual è effettivamente la differenza tra distribuzione di liquidità e riforme strutturali? Si possono fare due esempi che dovrebbero rendere il concetto molto chiaro. Quando lo Stato introduce misure che servono a redistribuire i soldi ma non modulano effettivamente il PIL con riforme strutturali fa una cosa completamente diversa.

Redistribuzione è quando ad esempio a partire da una certa data un certo settore produttivo riceve un certo ammontare di soldi da parte dello Stato, oppure i cittadini che acquistano prodotti di quel determinato settore ricevono dallo Stato dei bonus di spesa.

Riforma strutturale invece è quando il Governo stabilisce che a decorrere da una certa data le aliquote fiscali verranno modificate, ed in questo modo il PIL può effettivamente subire un incremento.

Quello che è accaduto durante i governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi 10 anni è che sono state introdotte solo misure redistributive. Nel frattempo è arrivata l’emergenza coronavirus, quindi il lockdown e la crisi economica che le misure restrittive adottate hanno prodotto, sicché il governo si è trovato a corto di risorse da assegnare a questo gioco redistributivo.

In questo contesto il Recovery Fund, secondo l’analisi di StrategieEconomiche, può produrre un effetto positivo, portando la liquidità di cui il Paese ha bisogno, anche se poi verrà distribuita in un lasso di tempo piuttosto lungo.

Perché il Recovery Fund non basta a risolvere il problema di liquidità dell’Italia

Quelli che rischiano di mancare, anche dopo l’approvazione del Recovery Fund, sono i soldi per l’ordinaria amministrazione, che invece non sarebbero mancati “se l’Italia avesse per tempo messo in pratica delle misure per migliorare il suo PIL”.

Se invece di adottare semplici misure redistributive avesse adottato l’altra linea, ora disporrebbe di “soldi accantonati da assegnare in fondi d’emergenza da destinare all’economia reale” coma fa ad esempio la Germania.

In Italia la forma in cui la crisi delle attività produttive è così grave perché “colpisce un tessuto produttivo che era già stato portato allo stremo da dieci anni e in questo stesso lasso di tempo non ha portato sufficienti entrate fiscali nelle casse” dello Stato.

Ed eccoci alla situazione odierna, con la mancanza di liquidità non solo per i ‘giochi redistributivi’, ma anche per l’ordinaria amministrazione, ambito nel quale il Recovery Fund non può essere usato.

Ecco come farà lo Stato ad avere tanti soldi subito

L’unico modo che lo Stato ha per ottenere i soldi che servono per l’ordinaria amministrazione è quello di introdurre una tassa patrimoniale. D’altra parte in Italia è stato ampiamente raggiunto il limite massimo oltre il quale il prelievo fiscale non puà proprio essere spinto, e le strade rimaste da percorrere sono davvero poche.

Aumentare il carico fiscale significherebbe solo peggiorare ulteriormente la situazione già tragica in cui versa il Paese, quindi non è in questo modo che il governo raggranellerà le risorse necessarie. “È questo il motivo per cui oggi, nonostante il presunto ‘successo’ del Recovery Fund, molti blog ‘pessimisti’ continuano a parlare di una possibile patrimoniale da parte del governo“.

Ad essere in bilico oggi è l’ordinaria amministrazione insomma, una urgenza per far fronte alla quale il governo non ha molta scelta. “Solo una patrimoniale è capace di prelevare somme abbastanza ingenti in un tempo abbastanza breve” fanno notare gli esperti.

Che tipo di tassa patrimoniale dobbiamo aspettarci?

La tassa patrimoniale non è certo una novità in Italia. In passato altri governi vi hanno fatto ricorso per svariate ragioni: patrimoniali per coprire le sepse della prima guerra mondiale, per la guerra di colonizzazione dell’Etiopia, per la seconda guerra mondiale e per la ricostruzione nel dopo guerra.

Una patrimoniale è stata introdotta in Italia anche per far fronte all’emergenza valutaria del 1992 e l’ultima più recente risale alla crisi economica del 2011.

Le prime patrimoniali colpivano soprattutto i beni immobili, ma in seguito, con l’avvento delle Borse e della finanza di massa, le patrimoniali sono state orientate più verso i beni finanziari e questo ha permesso di farle passare spesso in sordina, come l’imposta di bollo sui conti correnti e la tassa sul capital gain.

Secondo gli esperti di StrategieEconomiche infatti il governo sarebbe più incline ad adottare patrimoniali di questo tipo, di quelle cioò che ‘non danno troppo nell’occhio’ ma sono ugualmente efficaci, piuttosto che ricorrere alla classica tassa patrimoniale.

Quali sono le patrimoniali preferite all’estero?

Non tutti gli attori istituzionali prediligono lo stesso tipo di tassa patrimoniale. L’Ue per esempio preferisce che si colpiscano pensioni e risparmi dei cittadini, mentre il Fondo Monteraio Internazionale preferisce che si introduca l’Imu sulla prima casa e che in generale si aumenti l’Imu. L’Ocse infine predilige imposte su successioni e donazioni.

Aumentare la tassazione su successioni e donazioni potrebbe essere la scelta preferita anche dal Governo italiano in questo contesto, e infatti “è già in discussione un ricalcolo delle aliquote di questa imposta e un abbassamento a 500 mila euro della soglia di esenzione da tale imposta”.

La patrimoniale che ha più probabilità di essere introdotta in Italia quindi sembra proprio essere quella sulle successioni e sulle donazioni, anche retroattive. Sempre in questo contesto si andrebbe anche a collocare la riforma del catasto, che potrebbe essere un’altra forma di patrimoniale altamente plausibile, più dell’aumento dell’Imu.

Il problema è che al governo i soldi servono urgentemente, e quindi occorre una patrimoniale che permetta di battere cassa in fretta, e in questo senso la riforma del catasto non è certo la soluzione migliore, anche perché avrebbe un “effetto dirompente sul settore edilizio”, e risulterebbe una misura “peggiorativa, anziché migliorativa, nei confronti del Pil”.

Cosa rischiano i risparmiatori italiani?

Secondo l’analisi di StrategieEconomiche “la creatività del governo, invece di colpire gli immobili, si scatenerà ancora sul settore finanziario” pertanto a rischiare di più sono:

  • i conti correnti ed i depositi bancari
  • gli investimenti finanziari
  • i risparmi detenuti e/o investiti all’estero

È davvero possibile che anche i risparmi e i depositi all’estero siano a rischio in caso di patrimoniale in Italia? L’analisi prosegue spiegando che “aprire online conti correnti, conti di trading, o conti deposito di provider esteri, o esportare fisicamente capitali in banche estere” può non bastare più.

Con l’emergenza sanitaria e la crisi economica post Covid, nel 2020 nasce la prima tassa del 2 per mille sui risparmi e gli investimenti detenuti all’estero. Si può dunque presumere che il governo continuerà su questa linea, colpendo in modo del tutto legale chi ha ‘osato’ portare i risparmi fuori dall’Italia, magari per proteggerli proprio dal rischio default dell’Italia, e non necessariamente per nasconderli al fisco.

Il rischio maggiore insomma lo correrebbero proprio i risparmi che si trovano all’estero. Una patrimoniale che “nell’immediato può essere non solo rimodulata, ma anche reiterata a piacere, senza alcuno scrupolo”.

I motivi elencati sono sostanzialmentre tre:

  • porta molti soldi
  • porta liquidità in tempi rapidi
  • appare moralmente “accettabile” agli occhi dell’opinione pubblica

Cosa si può fare per evitare la patromoniale sui soldi all’estero?

Non ci sono molte soluzioni, però una ci viene proposta: trasferire la propria residenza all’estero. Stiamo parlando dell’espatrio, vale a dire del cambio di residenza ufficiale, che appare di fatto l’unica soluzione alla patrimoniale.

Di certo espatriare non è cosa che farebbe chiunque, sia per motivi familiari che di altra natura, ma spesso capita che almeno un componente del nucleo familiare possa farlo, e allora può essere conveniente.

Questo componente della famiglia dovrebbe intestarsi tutti i beni che la famiglia tiene all’estero, ma non è indispensabile che ci sia un taglio netto con il passato, esistono forme intermedie che possono funzionare ugualmente.

Anzitutto bisogna vagliare bene le possibilità quanto alla scelta del Paese verso il quale espatriare, che dovrebbe essere auspicabilmente il più compatibile possibile con l’individuo che vi i trasferirà. Si tratterebbe di una scelta di vita, di una cosa che non si può decidere su due piedi e senza le dovute valutazioni, ecco perché non è una cattiva idea rivolgersi a professionisti indipendenti e obiettivi.

StrategieEconomiche quindi ci elenca gli aspetti più importanti di queste figure che potrebbero accompagnare il cittadino italiano nella scelta dell’espatrio. Questi professionisti devono:

  • Avere una conoscenza completa delle leggi dei vari Paesi
  • Avere una conoscenza completa delle leggi italiane, qualifiche che per quanto possa sembrare strano non sempre si trovano nella stessa figura professionale
  • Aver vissuto realmente in quasi tutti i Paesi che sono in grado di proporre per l’espatrio
  • Avere legami con banche, ambasciate e istituzioni varie nei Paesi che propongono
  • Essere al contempo totalmente indipendenti, e non vincolati all’obbligo di dividere eventuali guadagno con le predette istituzioni.

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