Si attesterà intorno all’11,3% il crollo del PIL italiano per il 2020, una previsione che vede il nostro Paese alle prese con lo stesso calo del prodotto interno lordo che si avrà in Spagna, Regno Unito e Francia. Le cose però potrebbero andare persino peggio, ad esempio nel caso in cui dovesse esserci in autunno la tanto temuta seconda ondata.
La situazione del contagio sembra tutt’altro che fuori controllo a dire il vero, almeno per ora, con dati che smentiscono platealmente le previsioni degli epidemiologi che davano per scontato un incremento dei contagi con le riaperture previste dalla Fase 2. Si parlava di fino a 150mila persone in terapia intensiva se non si ‘stava attenti’ mentre oggi contiamo nel reparto poco più di 200 malati di Covid-19 in tutto il Paese.
Eppure i timori per un possibile ritorno del virus sembrano non essersi placati, e persino l’Ocse, nel suo nuovo outlook economico, prende in considerazione l’ipotesi di una seconda ondata del Coronavirus.
La pandemia in corso ha causato secondo l’Ocse la “peggior crisi dalla Seconda guerra mondiale” con gravi ripercussioni non solo in ambito sanitario, ma producendo conseguenze, seppur indirette in quanto frutto di scelte politiche, di natura economica senza precedenti.
La ripresa sarà “lenta” ricorda l’Ocse, e sottolinea che la crisi avrà “effetti duraturi” i quali produrranno un impatto chiaramente più grave sulle fasce più deboli della popolazione. Ed ecco quindi nascere la necessità di adottare politiche economiche con nuove priorità, tra le quali spunta fuori la ricerca del vaccino.
Nell’introduzione del rapporto dell’Ocse, il capoeconomista Laurence Boone ha appunto ricordato che lo scenario in cui ci troviamo potrebbe essere persino peggiore. Si elogia il lavoro di medici ed infermieri, ma si sottolinea anche la validità delle scelte fatte dai Governi. L’Ocse in definitiva riconosce all’Italia di aver risposto rapidamente all’emergenza, mettendo in campo strumenti innovativi.
Parole di approvazione anche per le banche centrali, che secondo l’Ocse hanno fatto il loro dovere, intervenendo con iniziative forti e scelte fatte con tempestività.
Insomma stando al quadro dipinto dall’organizzazione parigina ci è andata tutto sommato bene. I numeri ad oggi dicono sostanzialmente due cose: che ci troviamo di fronte alla più grave crisi economica del secolo, paragonabile solo a quelle dei periodi di guerra, e che è stata causata da misure di contenimento che hanno imposto la chiusura di tutte le attività, ad esclusione di quelle strettamente necessarie.
Per capire se le misure messe in campo erano davvero necessarie bisognerà attendere ancora, ed in tal senso è sicuramente interessante osservare i numeri relativi al contagio in Svezia, dove non c’è stato alcun Lockdown.
Ma tornando alle considerazioni dell’Ocse, siamo di fronte ad una crisi che produrrà entro la fine del 2021 una perdita di reddito che sarà la maggiore tra tutte le recessioni degli ultimi 100 anni, tolte quelle dei periodi di guerra. Questo produrrà un notevole incremento delle diseguaglianze, che saranno accentuate sia tra Paesi che tra i lavoratori di ciascun Paese.
Alcuni Paesi sono stati maggiormente colpiti dal coronavirus, fa notare sempre l’Ocse, e anche le misure di contenimento hanno mostrato differenze, talvolta enormi, da Paese a Paese. Si deve tener conto anche di quanto i Paesi siano stati fiscalmente abili a rispondere, di quanto fossero preparati dal punto di vista sanitario e così via, pertanto gli effetti prodotti dall’emergenza coronavirus saranno anch’essi diversi tra un Paese e l’altro.
Le diseguaglianze si accentueranno poi tra i lavoratori, in quanto all’interno dello stesso sistema quelli più qualificati si sono dimostrati solitamente meno penalizzati, ad esempio potendo continuare a lavorare in smart working, mentre gli altri sono rimasti perlopiù tagliati fuori dall’attività economica. Si passa quindi dal paradigma della “grande integrazione” a quello della “grande frammentazione” osserva l’Ocse.
Le stime dell’Ocse in caso di seconda ondata di Covid-19
L’Ocse ha prodotto due set di stime: in uno lo scenario è quello di una pandemia ormai sotto controllo, mentre nell’altro si ipotizza un ritorno del covid-19 in autunno.
Nel caso in cui il virus dovesse ripresentare negli ultimi mesi del 2020, per l’Italia, sempre stando alle stime dell’Ocse, ci sarebbe il rischio di un crollo del Pil del 14% circa, con un rimbalzo del 5,3% l’anno prossimo. Se invece la situazione resta sotto controllo, il calo del Pil per l’Italia si attesterebbe intorno all’11,3%, con un rimbalzo previsto del 7,7% nel 2021.
Nel rapporto dell’Ocse leggiamo che “se la produzione industriale si riavvierà rapidamente con l’abbandono delle chiusure” invece “il turismo e molti servizi legati ai consumatori ripartiranno più lentamente, con effetti negativi sulla domanda”. È chiaro che in tutti e due gli scenari, il Pil italiano resterà ben al di sotto dei livelli di prima dell’emergenza coronavirus.
Se dovesse tornare il coronavirus, e soprattutto se si decidesse nuovamente di ricorrere alle misure di contenimento adottate durante il lockdown, si avrebbero conseguenze gravi anche sui livelli di occupazione. La disoccupazione raggiungerebbe il 10,7% nel 2020, per poi arrivare all’11,9% nel 2021, mentre il rapporto deficit-Pil raggiungerebbe il 170%.
Non basta quindi che l’Italia, almeno secondo l’Ocse, abbia risposto rapidamente all’emergere del virus, che rischia di assestare comunque un duro colpo sull’inclusività della crescita. Serve insomma una rinnovata spinta per un ambizioso programma di riforme strutturali, che vada ad affiancarsi alle misure adottate fino ad ora.
Sempre secondo l’Ocse è consigliabile supportare i programmi di riqualificazione e il sostegno agli investimenti, con particolare attenzione rivolta a quei settori che garantiscono le prospettive migliori. Bene il Reddito di Cittadinanza, che anzi dovrebbe essere ulteriormente potenziato per combattere la povertà e sostenere la domanda interna.
Lo Stato dovrà poi essere pronto a sostenere con un programma di garanzie (Gacs) gli istituti di credito nel caso di una crescita di crediti deteriorati. “Non mancano l’annosa questione della complessità amministrativa, il miglioramento dell’efficacia del sistema legale e la riduzione del costo del lavoro oltre il rinnovo delle infrastrutture che invecchiano e l’adozione delle tecnologie digitali per aumentare la competitività” leggiamo su Repubblica circa le scelte che andrebbero operate in Italia secondo l’Ocse.
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