Francia e Germania hanno lanciato la proposta del Recovery Fund da 500 miliardi di euro, che per come è strutturata in questa sua forma iniziale, può rappresentare un primo passo verso una vera mutualizzazione del debito in Europa.
Ad opporsi sono prevalentemente Olanda, Svezia, Danimarca e Austria, i cosiddetti Paesi ‘frugali’ che non vedono di buon occhio questa possibile svolta, e che si oppongono quindi a trasferimenti a fondo perduto. Chiedono invece che i prestiti vengano puntualmente rimborsati e che siano condizionati a piani di riforme che i Paesi beneficiari avrebbero il dovere di implementare per rendere sostenibile il debito pubblico.
I quattro Paesi del nord si oppongono in sostanza al primo tentativo di mutualizzazione del debito in Europa, che alla fine vede tra i suoi promotori persino la Germania di Angela Merkel. Il governo tedesco avrebbe preso questa decisione anche su spinta degli stessi industriali, consapevoli della necessità di accelerare il processo di integrazione europea, e del rischio che la crisi dell’Italia possa trascinare verso il basso l’intera Unione.
I quattro Paesi “frugali” si oppongono quindi al concetto di mutualizzazione del debito, e per certi versi la loro riluttanza è comprensibile. Su IlSole24Ore leggiamo che se l’Italia si è presentata alla crisi economica rappresentata dall’emergenza coronavirus con un rapporto deficit-PIL al 135%, l’Austria si presentava con un 79%, l’Olanda con un 57%, la Svezia con un 41% e la Danimarca addirittura con un 35%.
Osservando questi dati appare quindi comprensibile che i Paesi con un rapporto debito-Pil più virtuoso possano avere delle perplessità riguardo a prospettive di mutualizzazione del debito, e diventa difficile parlare di solidarietà mentre invece appare inevitabile un’attenta riflessione circa i vantaggi rappresentati dal fare parte di un mercato unico.
I Paesi più reticenti però hanno anche posto una condizione ben precisa al Recovery Fund della proposta franco-tedesca, che consiste nella richiesta di un “forte coinvolgimento della Corte dei Conti europea, dell’Ufficio Ue anti-frode (Olaf) e della Procura europea (Eppo)”.
Non è difficile leggere questa presa di posizione, che mette invece in palese evidenza un comportamento di profonda sfiducia nei confronti dei Paesi del Sud, che sono sì gravati da un debito pubblico notevolmente più pesante, ma che non per questo possono essere ritenuti Paesi con un più alto rischio di frodi finanziarie.
È evidente che nel caso di erogazione di fondi da parte della Ue, saranno necessari dei controlli attenti sul versante delle frodi, fondamentali per evitare che le mafie ed il malaffare possano mettere le mani sui denari pubblici, ma è sbagliato ritenere che questo rischio si accentui laddove a beneficiare maggiormente dei fondi siano i Paesi del Sud.
Infatti se vogliamo eseguire un’analisi più precisa, notiamo che “i principali rischi di grandi frodi finanziarie, e di riciclaggio di denaro illecito, guardando alla storia dell’ultimo decennio arrivano proprio dalle grandi banche dei cosiddetti Paesi frugali” come riportato da IlSole24Ore, e questo non fa che dimostrare quanto i Paesi ‘frugali’ che da un lato sono molto attenti a controllare i conti pubblici, dall’altro appaiono distratti nel monitoraggio delle centinaia di miliardi “sporchi” che finiscono per gonfiare i conti dei loro istituti di credito.
L’agenzia Reuters il 20 maggio scriveva che “un piano per rafforzare i poteri dell’Unione Europea per contenere il flusso di denaro sporco nelle banche ha incontrato resistenze in una riunione Ue da parte di alcuni Stati recentemente colpiti dai maggiori scandali di frodi finanziarie e riciclaggio di denaro” e a sostegno di ciò la stessa agenzia cita ben tre fonti.
C’è poi la relazione della Commissione Ue al Parlamento e al Consiglio Europeo ad affrontare lo stesso tema. In questo caso si parla della “valutazione di recenti presunti casi i riciclaggio di denaro concernenti enti creditizi dell’Ue” e venivano citate dieci banche europee. Quante di queste dieci sono italiane? Nessuna. Ma soprattutto è emerso che molte sono basate proprio nei 4 Paesi frugali, cioè Olanda, Svezia, Austria e Danimarca.
Vediamo allora cosa è emerso di preciso sulle frodi finanziarie degli ultimi anni. Nel 2018 è stata la banca olandese Rabobank a dichiararsi colpevole di riciclaggio di denaro sporco che proveniva dal Messico, ragione per la quale ha accettato di pagare 369 milioni di dollari al Governo USA.
Passano solo pochi mesi ed un’altra banca olandese si trova coinvolta in nuovi episodi di frodi finanziarie. Si tratta di banca Ing, che accetta di pagare una multa da 675 milioni di euro alle autorità olandesi a seguito di una indagine per attività criminali tra cui riciclaggio e corruzione. A settembre 2019 è il turno della banca Abn Amro, olandese anch’essa, ma in questo caso si tratta proprio di una controllata dallo Stato. Viene indagata per riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo.
Uno dei più grandi scandali sul riciclaggio internazionale ha interessato Svezia e Danimarca insieme. La Swedbank e la Danske Bank, attraverso le loro filiali in Estonia, avrebbero eseguito secondo le accuse degli inquirenti, transazioni illecite per 130 e 230 miliardi di dollari.
Nelle stesse indagini è stata coinvolta anche la banca austriaca Raiffeisen, che già nel 2018 era stata multata dalla Austrian Financial Market Authority per scarsa prevenzione nell’antiriciclaggio e finanziamento al terrorismo. Inoltre sempre la Raiffeisen risulta indagata dal 2016 per l’inchiesta Panama Papers sui paradisi fiscali.
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