“Coronavirus, diretta: in Svezia nessun lockdown: ora il tasso di mortalità è il più alto del mondo” così titolava ieri un articolo su Il Messaggero, dove in estrema sintesi veniva spiegato come mai il ‘modello svedese’ di approccio alla pandemia di coronavirus ha fallito, producendo il tasso di mortalità più alto del mondo.
A riportare la notizia, come spiegato su Il Messaggero, è anzitutto il Daily Telegraph online, che cita i dati raccolti dal sito web Our World in Data. La Svezia, stando a questi dati, ha avuto “6,08 decessi per milione di abitanti al giorno su una media mobile di sette giorni tra il 13 maggio e il 20 maggio” si legge sul sito del noto quotidiano italiano.
Viene poi precisato che, facendo ancora affidamento sulla stessa fonte, quello della Svezia risulterebbe il tasso di mortalità più alto del mondo, superiore a quello del Regno Unito, del Belgio e degli Stati Uniti, dove la media mobile registrata nello stesso ristretto arco di tempo di 7 giorni indica rispettivamente, 5,57, 4,28 e 4,11 decessi al giorno per milione di abitanti.
Quindi il modello svedese, quello del lockdown soft, non ha funzionato? Insomma è questo che dice il titolo, e se il calcolo della media mobile sui dati relativi ai 7 giorni che vanno dal 13 al 20 maggio dovesse essere confermato nelle prossime settimane può anche darsi, ma di quanto? 6,08 contro 5,57 per milione di abitanti? E in mano abbiamo delle stime, non dati definitivi.
Ma forse per tirare le somme è il caso di prendere il dato complessivo, potrebbe obiettare qualcuno, e allora dovremmo aspettare e vedere cosa succede nelle prossime settimane. Intanto diamo un’occhiata ai numeri che abbiamo ora. Qual è al momento il tasso di mortalità del coronavirus in Svezia dall’inizio dell’emergenza?
Proviamo a dare un’occhiata ai numeri facendo affidamento naturalmente su quelli che sono i dati ufficiali forniti dalla John Hopkins University, che poi andremo a confrontare coi dati relativi alla popolazione dei Paesi citati, quelli diffusi dall’Onu.
Cominciamo dal Regno Unito, dove ad oggi 21 maggio 2020, con il coronavirus sono morte in tutto 35.786 persone, su una popolazione di circa 63 milioni di abitanti secondo l’Onu, il che indicherebbe un tasso di mortalità del covid-19 dello 0,056%. In Belgio invece i morti dall’inizio della pandemia sono stati 9.150, su un totale di circa 11 milioni di abitanti, per un tasso di mortalità dello 0,082%.
Diamo un’occhiata anche all’Italia visto che ci siamo. I morti con il coronavirus nel nostro Paese registrati ad oggi sono in tutto 32.330, su 60 milioni di abitanti, per un tasso di mortalità dello 0,053%.
Per quel che riguarda gli USA, sappiamo che è il Paese in cui si sono registrati più casi di contagio al mondo, e che i morti sono 93.439. Quasi il triplo delle vittime di coronavirus in Italia, ma la popolazione degli Stati Uniti è quasi 4 volte quella italiana. Sono 328,2 milioni di abitanti, quindi il tasso di mortalità rispetto alla popolazione complessiva è dello 0,028%.
E in Svezia qual è il tasso di mortalità del coronavirus? In Svezia dall’inizio della pandemia con il Covid-19 sono morte, stando ai dati della John Hopkins University, 3.831 persone su un totale di circa 9 milioni e mezzo di abitanti. Il tasso di mortalità del coronavirus qui risulta essere dello 0,040%.
Il dato complessivo della Svezia indica quindi che il lockdown soft non ha prodotto, a partire dall’inizio della pandemia di coronavirus, nessuna ecatombe. Il dato sulla mortalità di Paesi che hanno adottato il più restrittivo dei lockdown, come l’Italia ad esempio, risulta peggiore di quello della Svezia, e risulta peggiore il dato del Regno Unito, così come risulta peggiore il dato del Belgio.
Magari non vuol dire che il lockdown soft abbia funzionato, ma di certo stando a questi dati non si trovano elementi per affermare il contrario.
La Svezia e il lockdown soft, ecco come funziona il modello svedese
Il 17 maggio, quindi appena qualche giorno addietro, su Il Mattino veniva dedicato un articolo al modello svedese, e vi si riportavano le dichiarazioni di Anders Tegnell, l’ideatore del tanto criticato lockdown soft.
“Le morti in eccesso? Un prezzo accettabile” dichiarava Tegnell “credo che il modello abbia funzionato, non penso che avessimo bisogno del lockdown in Svezia”. Una scelta, quella del capo dell’Agenzia di Sanità Pubblica svedese, che lo ha reso estremamente popolare in patria, che per affrontare l’emergenza sanitaria ha deciso di adottare un approccio “più morbido”.
All’ANSA Tegnell ha infatti dichiarato: “non penso che avessimo bisogno del lockdown in Svezia. Non avrebbe fatto poi così tanta differenza, specie nei contagi negli ospizi. Imporre il lockdown non avrebbe cambiato la situazione, esistono molte altre misure, più morbide, che possono essere utilizzate” e così è stato fatto.
La Svezia ha quindi deciso di concentrare gli sforzi su pochi interventi mirati ed in questo modo è riuscita a un tempo ad appiattire la curva dell’infezione e a tutelare l’assetto socio-economico. Già perché mentre in Italia per ottenere gli stessi risultati, se non persino risultati peggiori dal punto di vista del contenimento del contagio da Covid-19, è stata sacrificata l’economia dell’intero Paese, lì il danno economico è pressoché inesistente.
“Finora ritengo, pur tenendo conto dei morti in eccesso, che abbia funzionato” dice ancora Tegnell “la gente ha seguito le nostre indicazioni e abbiamo fatto sì che il servizio sanitario curasse tutti quelli che ne avevano bisogno, malati non solo di Covid-19 ma di qualsiasi patologia. È stato difficile, ma ci sono sempre stati letti a disposizione”.
Eppure se ad esempio per la Germania adottare delle misure restrittive meno stringenti dell’Italia può essere stato relativamente facile grazie ad un elevato numero di posti letto per numero di abitanti, in Svezia di certo non lo è stato. Infatti in Svezia, stando a quanto riportato dall’Agi, i cittadini possono contare su circa 2,2 posti letto ogni 1.000 abitanti, uno dei dati peggiori di tutta Europa.
In Italia ad esempio, se si conta solo la sanità pubblica i posti letto disponibili su 1.000 abitanti sono 2,5, che diventano 3,2 se si contano anche quelli offerti dalla sanità privata. La Germania da questo punto di vista è al primo posto in Europa, con 8 posti letto ogni 1.000 abitanti.
Ma quali sono le misure restrittive adottate dalla Svezia? Decisamente poca roba, specie se si fa il confronto con il lockdown italiano, uno dei più duri al mondo. In Svezia all’inizio della pandemia hanno vietato gli assembramenti oltre le 50 persone, poi si è deciso anche di imporre delle limitazioni alle visite nelle case di cura. Per quel che riguarda le scuole, sono state chiuse solo le scuole superiori e le università.
“Ogni decesso è un immenso dispiacere, è una cosa terribile vedere un numero così alto di persone morire, ma ci sono molti altri aspetti da tenere in considerazione per valutare un singolo approccio. Come per esempio i danni che si determinano a livello sociale nel lungo periodo“. Di questi ultimi in particolare in Italia si parla ben poco.
Le scuole elementari sono rimaste aperte per tutta la durata della pandemia e lo sono ancora oggi in Svezia. Sono rimasti aperti anche i bar, i ristoranti, i negozi, i cinema e i teatri. “I bambini hanno bisogno di andare a scuola almeno quanto i loro genitori di lavorare” ha spiegato Tegnell “ritengo che essere riusciti a garantire la scolarizzazione in questo periodo così difficile sia stato un successo che potrebbe essere preso d’esempio da altre nazioni”.
Ma la popolazione cosa ne pensa di queste scelte così coraggiose? Diciamo che se l’Italiano medio è diventato mascherina-dipendente, per quanto non esista alcuna evidenza scientifica che il suo utilizzo in questo contesto abbia una qualche utilità, lo Svedese medio è di tutt’altra risma.
Secondo i sondaggi infatti Tegnell gode di un consenso incredibilmente alto, con un 70% della popolazione che è d’accordo con lui. Un altro 20% invece è addirittura convinto che serviva una linea persino più soft. Solo il 5% degli svedesi avrebbe preferito misure più stringenti.
Quanti avrebbero gradito l’obbligo di mascherina, i pannelli di plexiglas sui tavoli dei ristoranti, la misurazione della temperatura corporea e l’obbligo di mantenere le distanze in spiaggia non lo sappiamo, ma possiamo immaginarlo. Queste poi sono solo alcune delle misure restrittive della nostra Fase 2, e viene naturale domandarsi: abbiamo distrutto un’economia e continuiamo su questa strada, ma ne vale davvero la pena?
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