Di recente si è parlato molto della definizione di pandemia, e di quali siano le ragioni per cui l’Oms potrebbe iniziare ad usare questo termine in riferimento al contagio da coronavirus che si sta diffondendo in queste ultime settimane soprattutto in Europa e medio-oriente, in particolare in Italia e Iran.
Abbiamo parlato di quali siano le differenze tra epidemia e pandemia, ma perché è così importante sapere se la situazione che si sta profilando con la diffusione del coronavirus rientri nell’uno o nell’altro scenario? Di certo serve per avere una visione più completa di quali siano i rischi che stiamo correndo a livello globale, e quindi serve a ciascun cittadino per capire con cosa abbiamo a che fare realmente.
Ci sono però altri motivi per cui è bene capire se siamo di fronte ad una epidemia o una pandemia, e quelli di cui parleremo ora sono di natura strettamente economica. In ballo insomma ci sono molti soldi, e tutto dipende dalle decisioni che l’Oms prenderà da qui a qualche giorno, vediamo perché.
La World Bank ed il nuovo meccanismo anti-pandemia
Nel momento in cui il mondo si trova ad affrontare una emergenza sanitaria ci sono ingenti spese da sostenere in ambito sanitario principalmente, quindi parliamo di medicinali, personale medico, strumenti di protezione (le famose mascherine ma non solo) e molto altro.
Queste spese che la sanità dei Paesi coinvolti si trova a dover sostenere possono essere molto elevate e quindi difficili da supportare per dei Paesi in via di sviluppo in particolare. Ed è proprio in questi casi che entra generalmente in gioco la Banca mondiale, che si ritrova inevitabilmente a sostenere economicamente questi Stati.
Il costo per la World Bank è comunque notevole, ed è per questa ragione che in seguito alla diffusione in Africa del virus Ebola che ha causato oltre 11 mila vittime tra il 2014 e il 2016, la Banca mondiale ha deciso di affidarsi ad un meccanismo diverso per andare in soccorso dei Paesi colpiti dalla diffusione di virus potenzialmente letali.
Nel 2017 infatti la World Bank ha emesso due bond per un valore complessivo di 320 milioni di dollari, con scadenza 15 luglio 2020. Si tratta di titoli che sono stati acquistati da banche private di tutto il mondo, anche perché sono relativamente a basso rischio e pagano bene.
I bond però hanno delle condizioni: se prima della scadenza, quindi parliamo del mese di luglio prossimo, dovesse scoppiare una pandemia, i detentori dei bond cioè banche e gestori, verranno rimborsati solo in parte, e in alcuni casi non riceveranno alcun rimborso. Ma vediamo meglio come funziona questo meccanismo.
Il meccanismo dei pandemic bond
I bond emessi dalla World Bank, come accennato, sono due. Il primo bond è da 225 milioni di dollari (Isin XS1641101172) ed è legato solo alle pandemie influenzali o coronavirus, e le condizioni per far scattare il taglio al rimborso spettante al titolare del credito prevedono, tra le altre cose, che ci siano almeno 2.500 vittime in un Paese colpito dal contagio, più un minimo di 20 vittime in un altro Paese.
Il secondo bond è da 95 milioni di dollari (Isin XS1641101503) ed è legato ad una varietà di casistiche più ampia, compresa la diffusione del virus Ebola. Il taglio dei rimborsi, o di una parte di essi, è previsto quando si contano almeno 250 vittime causate da uno dei virus contemplati nelle condizioni. In questo secondo caso quindi il rischio è più alto, da cui un maggior rendimento.
Il primo bond, che è meno rischioso, paga un tasso pari all’US Libor +6,5%, mentre il secondo paga interessi pari all’US Libor +11,1%. Considerati gli attuali tassi del Libor vuol dire rispettivamente il 7,5% ed il 12,1%.
La World Bank quindi si limita a prendere i soldi avuti in prestito dai bondisti e a metterli nel fondo destinato a finanziare la lotta alle pandemie, che si chiama PEF (Pandemic Emergency Financial Facility).
Il PEF però viene finanziato attraverso due canali. Il primo è un canale per così dire “assicurativo” che è appunto quello sopra descritto legato all’emissione dei due pandemic bond; il secondo è per “cassa” che riceve i fondi direttamente dai Paesi ricchi o da organismi come l’OMS.
In un certo senso possiamo dire che il meccanismo dei pandemic bond è una sorta di “assicurazione” che la World Bank stipula, e che comporta il pagamento da parte sua di una polizza, costituita di fatto dagli interessi sui bond. In virtù di detta polizza infatti, in caso di emergenza il costo delle spese non incomberà più sulla banca mondiale ma sui chi detiene il credito dei bond, vale a dire il settore finanziario che ha in mano i titoli.
Un meccanismo tutto sommato semplice, almeno all’apparenza, che dovrebbe garantire la copertura delle spese che la World Bank sostiene nei casi di emergenze sanitarie. In realtà però ci sono molte clausole a vincolare il rapporto tra la banca mondiale e i detentori delle obbligazioni.
Prima di tutto, per far scattare il diritto della World Bank a non restituire il capitale allo scadere delle obbligazioni, è necessario che la diffusione del virus, del coronavirus in questo caso, rientri nella fattispecie di pandemia, ed ecco come mai non si tratta “solo di parole”.
Nelle prossime settimane infatti è probabile che l’Oms inizi a parlare di pandemia, ed in questo caso le probabilità che scatti il taglio del rimborso ai bondisti aumentano notevolmente. Di quale entità sarà il taglio invece dipende da una lunga serie di fattori, a cominciare dalla tipologia di virus. Per quelli che rientrano nella classe dei coronavirus per esempio sono previste percentuali di rimborso diverse da quelle previste invece per i casi di filovirus come l’Ebola o la febbre di Lissa.
Bisogna poi che sia stato registrato un certo tasso di crescita dei contagi, che sia coinvolto un certo numero di Paesi, e bisogna tenere conto di come sono distribuite le vittime nei vari Paesi. A certificare la sussistenza di tutte queste clausole e di altre che non abbiamo neppure citato, è predisposto un ente che si chiama Air Worldwide Corporation.
Tutto ciò cosa comporta all’atto pratico? Difficile dire ora cosa produrrà di preciso nel caso dell’epidemia/pandemia di coronavirus che il mondo sta attraversando adesso, ma possiamo dire che nel caso dell’emergenza Ebola che ha causato oltre 2 mila vittime nel 2018 nella Repubblica Democratica del Congo, le clausole non sono state tutte soddisfatte e quindi il meccanismo del taglio del rimborso dei bond al fine di coprire le spese sostenute dal PEF non è scattato.
In quell’occasione ad esempio la clausola che ha impedito l’applicazione del meccanismo sopra descritto è stata quella relativa alla condizione di almeno 20 morti in un Paese diverso da quello in cui si è sviluppato il contagio. Il Congo ha ricevuto comunque gli aiuti del PEF, ma, giusto per farsi un’idea, hanno ricevuto più denaro le banche che hanno acquistato i pandemic bond, e questo grazie agli interessi sui titoli.
Cosa potrebbe succedere con l’emergenza coronavirus?
Abbiamo visto come funzionano i cosiddetti pandemic bond, ma alla luce di tutto ciò, cosa dobbiamo aspettarci nello scenario in cui ci troviamo oggi? Il numero delle vittime e quello dei Paesi coinvolti ha già ampiamente superato le soglie imposte dalle clausole, ora resta da vedere anzitutto se l’Oms inizierà a parlare di pandemia, dopodiché le altre condizioni potrebbero essere via via facilmente soddisfatte.
Questa volta quindi è molto probabile che la Banca Mondiale si trovi a tagliare il rimborso dei bond quando giungeranno a scadenza a metà luglio 2020. Una prospettiva che, è inutile dirlo, non fa piacere agli istituti di credito che detengono i titoli, ma nemmeno alla Banca Mondiale.
Infatti se questo primo tentativo di creare un meccanismo assicurativo contro le pandemie fallisce perché chi ha acquistato i bond si trova effettivamente a non riavere indietro il capitale investito, probabilmente non acquisterà più i ‘pandemic bond’ in quanto ritenuti naturalmente troppo rischiosi. Di conseguenza niente assicurazione contro le pandemie per la World Bank.
Nel caso citato nel paragrafo precedente, abbiamo visto che il Congo ha ricevuto circa 50 milioni di dollari dal PEF, ma non provenivano dalla parte “assicurativa” bensì da quella “per cassa”. Invece si calcola che gli istituti di credito che hanno acquistato i bond abbiano ricevuto nel frattempo circa 60 milioni di dollari in interessi sui titoli.
Probabilmente non è così che andranno le cose con l’epidemia di coronavirus, ma quando sapremo quale piega prenderanno gli eventi? Una delle condizioni che vincolano il meccanismo assicurativo della World Bank è che dalla scoperta dei primi casi di contagio siano trascorsi 84 giorni, cioè 12 settimane, e questa scadenza è vicina: sarà il 23 marzo.
Inutile soffermarsi su quali siano i criteri in base ai quali si è deciso di stabilire un periodo di tempo così lungo per soddisfare la clausola, fatto sta che a partire da quella data l’Air Worldwide Corporation potrebbe in qualsiasi momento sancire il raggiungimento delle condizioni, che comporterebbe il taglio del rimborso spettante ai titolari dei bond alla loro scadenza.
Il risultato dal punto di vista finanziario non sarà drammatico, ma di certo produrrà i suoi effetti negativi sulle banche che detengono i bond, sul sistema finanziario in generale e naturalmente sulle Borse.
In questo caso poi non resta che augurarsi che le banche che hanno in mano questi bond, in vista di questo scenario poco incoraggiante, non decidano di inserirli nei fondi comuni o nelle gestioni patrimoniali dei risparmiatori, ripetendo qualcosa di simile a quel che fecero ad esempio con i bond argentini. Meglio stare in guardia e prendere quindi tutte le dovute precauzioni.
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