Da quando l’epidemia di Coronavirus è scoppiata in Cina si è subito iniziato a parlare del tasso di mortalità, che alla fine dei conti è il dato che ci interessa di più. In molti si sono chiesti quali differenze ci siano, in termini di percentuale di vittime sul totale degli infetti, tra la COVID-19 e la classica influenza stagionale, quindi proviamo a fare un po’ di chiarezza anche in questi termini, ma soprattutto cerchiamo di capire come mai il tasso di mortalità del nCoV-19 sbandierato dall’Oms, ora come ora, non è attendibile.
Il tasso di mortalità secondo l’NHC
Secondo quanto affermato dalla Commissione Nazionale cinese per la salute (NHC) nel corso di una conferenza stampa il 4 febbraio, per calcolare il tasso di mortalità del coronavirus è sufficiente dividere il numero dei morti per il totale dei casi di contagio confermati.
Stiamo prendendo quindi in considerazione quello che è il sistema che l’NHC sta usando dall’inizio dell’epidemia, un sistema che fino a un paio di settimane fa, quando il numero delle vittime nel mondo aveva appena superato le 2.000 unità, indicava un tasso di mortalità del 2,7% circa.
Il dato risultava dal seguente calcolo, così come illustrato nella conferenza stampa del 4 febbraio. Si prende il numero totale delle vittime, che al 19 febbraio era 2.004, e lo si divide per il numero totale dei contagi confermati, che alla stessa data era di 74.186. Il risultato è 0,027, vale a dire 2,7%.
Un metodo al quale si attiene anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che infatti conferma queste cifre, poi puntualmente riportate dalla stragrande maggioranza dei media. Ma se l’epidemia è in corso, il dato risultante dal calcolo basato su questo metodo, non è attendibile. Spieghiamo come mai.
Come si calcola il tasso di mortalità se l’epidemia è ancora in corso?
Se si usa il sistema che abbiamo illustrato nel paragrafo precedente quando l’epidemia è ancora in corso, rischiamo di ottenere un risultato non attendibile. Lo afferma anche un documento che è stato pubblicato su Swiss Medical Weekly, nel quale si legge: “non è al momento possibile effettuare una stima precisa del tasso di mortalità della Covid-19”.
Il motivo è che se prendiamo in considerazione il numero delle vittime, (che indica il numero di pazienti nei quali la malattia ha già completato il suo corso portando in questo caso alla morte) ed il numero totale delle persone contagiate (che quindi sono ancora malate e non è possibile stabilire se moriranno o meno) stiamo trattando un dato che riguarda il passato, e uno che indica il presente. Ne deriva un dato inevitabilmente impreciso.
Infatti esistono almeno altri due metodi per calcolare il tasso di mortalità di un virus, del coronavirus in questo caso specifico. Il primo ce lo suggerisce il sito worldmeters.info, che propone un metodo più affidabile per calcolare il tasso di mortalità ad epidemia in corso.
Il tasso di mortalità del coronavirus secondo Worldmeters
Si prende il numero dei morti ad un dato giorno, e lo si divide per il numero del totale dei casi accertati in quello stesso giorno meno il tempo medio che intercorre tra la conferma del contagio di un individuo e la sua morte. La formula sarebbe quindi: Numero morti gg/mm/aaaa / Numero casi gg(-7)/mm/aaaa.
Facciamo una prova quindi utilizzando questo metodo di calcolo, prendendo in esame sempre il giorno 19 febbraio, quando il totale delle vittime aveva appena superato le 2.000 unità. A noi però in questo caso interessa il totale dei casi registrati sette giorni prima di quella data, considerato appunto il tempo medio tra la conferma del contagio e la morte, che è stato calcolato in circa 7 giorni.
Al 19 febbraio si registravano in tutto 2.004 decessi, mentre il totale dei casi al 12 febbraio era di 44.890. Volendo utilizzare questo metodo per valutare la mortalità del coronavirus, occorrerebbe quindi fare questo calcolo: 2.004 / 44.890 = 0,044, il che vuol dire che la mortalità del virus risulterebbe essere del 4,4% circa.
Non possiamo affermare certamente che questo metodo sia affidabile al 100%, e questo per via di una serie di fattori, a cominciare dal fatto che non è facile stabilire quale valore dare a T. Quel che si può affermare con certezza è che il valore di T non sarà mai uguale a 0, come implicitamente affermato nella formula adottata dall’NHC, il che vuol dire che questo metodo risulterà comunque più attendibile.
L’American Journal of Epidemiology suggerisce un altro metodo
Vi è poi ancora un metodo per calcolare il tasso di mortalità di un virus quando l’epidemia è ancora in corso, ed è quello che ci propone l’American Journal of Epidemiology, che dice una cosa molto semplice.
Tutti i casi di contagio da coronavirus accertati sono destinati ad essere poi inseriti, una volta che la malattia ha terminato il suo corso, alternativamente tra i guariti o tra i deceduti. Se per calcolare il tasso di mortalità si utilizza il criterio dell’NHC, adottato anche dall’OMS, si rapporta il numero dei morti al totale dei casi.
Un criterio che sarebbe valido solo se, tolti i decessi, tutti gli altri casi registrati rientrassero tra i guariti. Ma sappiamo che così non è, perché l’epidemia è ancora in corso, e purtroppo tra i contagiati che non sono ancora guariti ci saranno inevitabilmente altri morti.
Il calcolo che propone quindi l’American Journal of Epidemiology per stabilire il tasso di mortalità di un virus quando l’epidemia è ancora in corso è il seguente. Si prende in considerazione solo quella fetta di casi per i quali la malattia ha già terminato il suo corso in uno dei due modi possibili, vale a dire il totale dei decessi ed il totale delle guarigioni.
Quindi sempre prendendo in esame i dati del 19 febbraio, ricordiamo che il numero complessivo dei morti era di 2.004, mentre il numero complessivo dei guariti risultava di 14.352. Il totale dei casi per i quali la malattia ha completato il suo corso è qundi di 16.357. Si divide quindi il numero dei morti per il numero totale così ottenuto e si ottiene il tasso di mortalità. Il calcolo da fare è perciò: 2.004 / 16.357 = 0,1225, vale a dire un tasso di mortalità del 12,25%.
Abbiamo visto tre risultati molto diversi tra loro, ma qual è quello più attendibile? Ricordiamo che si tratta di stime che non possono mai essere esatte al 100%, perché il decorso di una epidemia dipende da moltissimi fattori che possono intervenire in fasi diverse. Per avere il dato esatto della mortalità bisogna necessariamente attendere che l’epidemia sia finita, fino ad allora il dato dovrà essere preso sempre con le pinze.
Ad esempio ai tempi della SARS, quindi parliamo di circa 15 anni fa, era il 2003-2004, le stime dell’OMS parlavano, epidemia in corso, di un tasso di mortalità del 4% circa. Quando però l’epidemia fu terminata, il ricalcolo mostrò una grossa differenza tra quel dato e la realtà, con un tasso di mortalità che risultò essere invece del 9,6%.
Ma l’OMS sa che i dati sul tasso di mortalità non sono così attendibili? Sembra di sì, stando a quanto ha dichiarato una rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Maria van Kerkhove, che nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 29 gennaio ha affermato: “è molto preso per poter affermare con sicurezza quale sarà il tasso di mortalità del nuovo Coronavirus”.
A confermare quanto sia importante un approccio cauto ai dati sulla mortalità del coronavirus anche uno studio pubblicato su Lancet, nel quale si legge: “le stime riguardanti il tasso di mortalità della Covid-19 devono essere trattate con grande cautela, perché non tutti i pazienti sono morti o guariti, e non si conosce il numero preciso degli infetti”.
Il tasso di mortalità del coronavirus in Italia
Possiamo quindi provare a calcolare il tasso di mortalità del coronavirus in Italia. Magari usando sia il metodo adottato dall’Oms che uno dei metodi alternativi.
Alla giornata di ieri, 29 febbraio, il numero complessivo dei casi registrati nel nostro Paese, stando alla tabella pubblicata dal Corriere della Sera che riportiamo qui di seguito, è di 1.128, con 29 deceduti e 50 guariti.
Proviamo quindi a calcolare il tasso di mortalità con il metodo adottato dall’OMS. Prendiamo il numero totale dei morti (29) e dividiamolo per il numero totale dei casi registrati ad oggi (1128). Il risultato è 0,025, cioè 2,5%.
Il metodo suggerito invece dall’American Journal of Epidemiology mostra un dato completamente diverso, che però, dato l’esiguo numero dei casi per i quali il decorso della malattia è giunto a conclusione, è chiaramente molto approssimativo, è quindi necessario attendere una mole di dati un po’ più ampia per poter utilizzare questo sistema di calcolo.
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