È con il decreto del ministero del Lavoro pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’8 gennaio scorso, che si affida alle amministrazioni comunali il compito di istituire progetti utili alla collettività nei quali dovranno essere impiegati i percettori del Reddito di Cittadinanza, pena la perdita del sussidio. Sono previste però anche alcune esenzioni e agli operatori verrà comunque data la possibilità di esprimere una preferenza.
La misura del Reddito di Cittadinanza vede così l’avvio di questa nuova fase, che come previsto dalla normativa entrata in vigore quasi un anno fa, riguarderà i lavori socialmente utili ai quali dovranno dedicarsi i percettori del sussidio introdotto dal primo Governo Conte.
I percettori del Rdc che verranno assegnati ai cosiddetti Puc (Progetti Utili alla Collettività) potranno ad esempio fornire supporto agli operatori che forniscono assistenza domiciliare alle persone anziane, oppure si occuperanno di manutenzione del verde pubblico, ma si tratterà sempre di attività non retribuite, che verranno svolte con alcuni paletti, limitazioni ed eccezioni.
Ed è il decreto del ministero del Lavoro a definire in che modo i beneficiari del sussidio dovranno prestare la propria manodopera. Le attività, rigorosamente non retribuite potranno essere svolte “in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni” proprio come stabilito dal decretone che fu approvato nel febbraio 2019.
Nel frattempo, chi percepisce il Rdc dovrà comunque adoperarsi per la ricerca di un lavoro tramite i Centri per l’Impiego. Quindi da una parte si vedranno impegnati sulla ricerca di un posto di lavoro, e dall’altra sul fronte dei lavori socialmente utili, sulla falsariga di quelli introdotti nel 1993, destinati allora a coloro che ricevevano la cassa integrazione straordinaria, che furono poi estesi anche ai lavoratori in mobilità e ai disoccupati di lunga durata come stabilito dal pacchetto Treu dell’allora primo Governo Prodi.
Ma saranno i Comuni a dover gestire questa manodopera gratuita garantita, la cui abbondanza sarà determinata naturalmente dal numero di percettori del reddito di cittadinanza residenti. Saranno quindi le amministrazioni comunali ad avviare i progetti, i quali prevedranno attività a sostegno della collettività svolte da un minimo di 8 a un massimo di 16 ore a settimana, e chi non rispetta l’obbligo perde il sussidio.
Quali saranno i lavori utili per la collettività
Va chiarito subito che l’obbligo di partecipazione ai Puc si innesca nel momento in cui il proprio Comune di residenza organizza dei progetti all’interno dei quali si possono inserire le figure previste. Dovranno essere indicate le tempistiche, le risorse necessarie, e quali soggetti coinvolgere nelle diverse attività.
È lo stesso decreto ministeriale dell’8 gennaio ad auspicare il coinvolgimento degli enti del terzo settore, a cominciare proprio dalle organizzazioni di volontariato. “Il progetto può riguardare sia una nuova attività, sia il potenziamento di un’attività esistente” si legge nel decreto, ma questa non deve mai essere assimilabile a un lavoro dipendente o autonomo, anche perché non ci sarà alcun rimborso per il beneficiario.
Il primo punto fermo è che i beneficiari del Rdc coinvolti nei progetti lanciati dai Comuni di appartenenza non potranno mai sostituire lavoratori già assunti dal Comune, né possono essere assegnati loro incarichi di responsabilità.
I soggetti dovranno fornire supporto nello svolgimento di lavori di pubblica utilità, potenziando ad esempio determinati servizi offerti alle persone anziane come l’assistenza domiciliare, così come possono interessare la cura del verde pubblico o iniziative in ambito culturale, come l’organizzazione di eventi, manifestazioni, o il controllo e la cura delle biblioteche.
I lavori socialmente utili possono anche rientrare nell’ambito sociale, e riguardare quindi l’accompagnamento degli alunni allo scuola bus, oppure il recapito della spesa a casa di persone anziane. In ambito artistico invece si potrà trattare di organizzare mostre o aiutare nella gestione di musei, mentre in ambito formativo possono comprendere attività di supporto nella gestione dei doposcuola o dei laboratori professionali.
Un altro ambito nel quale i percettori del reddito di cittadinanza potranno essere impiegati è quello ambientale, con ruoli che possono essere di aiuto nella raccolta dei rifiuti, o di attività di informazione nell’ambito della raccolta differenziata.
E sempre nell’ambito della tutela dei beni comuni, una parte dei soggetti potrà essere impiegata in lavori di manutenzione di giochi per bambini all’interno di parchi pubblici, ma anche nella tinteggiatura e manutenzione di locali scolastici o comunque di pubblica utilità.
Nell’ambito dei Puc si favoriranno le propensioni individuali
I percettori del reddito di cittadinanza non verranno assegnati ai lavori da svolgere nell’ambito dei Puc in maniera casuale, si cercherè anzi di andare incontro alle predisposizioni di ciascuno.
Lo stabilisce lo stesso decreto del ministero del Lavoro. Per favorire “le propensioni individuali nella scelta dei progetti” si legge nel decreto, i beneficiari del sussidio potranno “fornire le proprie preferenze in riferimento alle aree di intervento nei progetti”.
Verranno quindi proposte ai percettori del reddito di cittadinanza, delle attività che risultano maggiormente compatibili “al loro profilo”. Il Comune dovrà quindi prestare attenzione a quelle che sono le preferenze indicate dal beneficiario per decidere a quale progetto abbinarlo.
Ad ogni modo a ciascun beneficiario dovrà necessariamente essere assegnata un’attività da svolgere nell’ambito dei progetti lanciati dal Comune, così come al beneficiario è fatto obbligo di dare la propria disponibilità e di aderire.
I limiti all’obbligo e i casi di esonero
L’obbligo da parte del beneficiario del Rdc a prendere parte ai progetti che il Comune ha il compito di avviare, partendo dal presupposto che vale la regola ‘niente progetti, niente obbligo’, scatta con la sottoscrizione del Patto per il Lavoro e del Patto per l’Inclusione Sociale che è prevista per poter accedere al Reddito di Cittadinanza.
Tutti i percettori del reddito quindi hanno già firmato, e mentre sono alla ricerca di un impiego, e tenuti ad accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, devono svolgere queste attività che si collocano nell’ambito dei Puc (Progetti di Utilità Collettiva).
Ma cosa succede se un beneficiario del reddito decide di non aderire ad un progetto al quale è stato assegnato dal proprio Comune di appartenenza? Semplicemente decade il diritto al Rdc.
Sono previste almeno 8 ore di lavoro a settimana, e queste ore possono essere distribuite in più giorni e in diversi giorni del mese, con il vincolo che alla fine del mese siano state svolte le ore di lavoro nell’ambito del progetto cui il beneficiario del sussidio è stato assegnato.
Se dovessero risultare mancanti alcune ore di attività, è anche possibile recuperarle prima che il beneficio del reddito decada per mancata ottemperanza degli obblighi previsti. Sarà quindi istituito dalle amministrazioni comunali un apposito registro dei partecipanti all’interno del quale verranno registrate le presenze, con orario di inizio e di termine attività.
Qualora dovesse risultare un’assenza ingiustificata di 8 ore, il beneficiario verrà richiamato una prima volta. Un secondo richiamo arriverà per ulteriori 8 ore di assenza ingiustificate, e al terzo richiamo, quindi al totalizzare di 24 ore di assenza, il Comune provvederà ad inviare all’interessato una comunicazione con la quale si chiede di giustificare le assenze entro un congruo limite di tempo.
Se ciò non avviene sarà il Comune stesso a comunicare all’Inps la mancata adesione da parte del soggetto beneficiario del Rdc al progetto al quale è stato assegnato, con il risultato che il beneficio viene a decadere.
Nel caso in cui invece subentrino motivazioni che giustificano di fatto le assenze dell’interessato, come può essere una non coerenza tra il progetto indicato e le persone segnalate dai servizi, si valuterà la rotazione su progetti differenti.
Ci sono però delle eccezioni all’obbligo di partecipazione ai progetti istituiti per i beneficiari del Rdc dai Comuni di appartenenza. Non sono tenuti a dare la propria disponibilità ad esempio coloro che sono inseriti nell’articolo 4, comma 2 del Decretone del febbraio 2019.
Tra questi rientrano tutte le persone che sono in possesso di un impiego come lavoratori dipendenti, ma che percepiscono un reddito che non supera gli 8.145 euro, e i lavoratori autonomi con reddito non superiore ai 4.800 euro. Sono altresì esonerate le persone che frequentano corsi di studi o di formazione, i beneficiari della Pensione di cittadinanza, i beneficiari over 65, i componenti con disabilità, i componenti di nucleo familiare che devono prendersi cura di minori o di persone con disabilità grave o non autosufficienti.
Sono esonerati dall’obbligo di aderire ai Puc istituiti dal Comune di appartenenza anche i soggetti che lavorano più di 20 ore settimanali, coloro che svolgono tirocini e coloro che si trovano in condizioni di salute non idonee allo svolgimento di detti lavori, come ad esempio donne in stato di gravidanza.
In che modo si coordineranno Comuni e Centri per l’Impiego
Bisogna prima di tutto tenere in conto che sono tenuti ad aderire alle attività previste dal Comune nell’ambito dei Puc sia i beneficiari del reddito di cittadinanza che hanno sottoscritto il Patto per l’Inclusione Sociale che quelli che hanno sottoscritto il Patto per il Lavoro.
Ad ogni modo, secondo quanto stabilito dal decreto del ministero del Lavoro, i Comuni dovranno coordinarsi con i Centri per l’Impiego. Ma in che modo? Nel testo del decreto leggiamo che quando saranno a regime tutte le disposizioni previste dal testo sul reddito di cittadinanza, e quindi i progetti saranno già stati avviati dai vari Comuni, questi ultimi dovranno interfacciarsi con i Centri per l’Impiego.
Leggiamo infatti che “le due piattaforme che compongono il Sistema informativo del Reddito di Cittadinanza dovranno dialogare in maniera che il ‘catalogo’ dei Puc con posti vacanti a livello comunale, aggiornato dinamicamente, sia reso disponibile dalla Piattaforma Gepi (Gestione patti per l’inclusione sociale), non solo agli operatori sociali già accreditati, ma anche agli operatori dei Centri per l’Impiego”.
In poche parole si cerca di fare in modo che gli operatori abbiano la possibilità di individuare in maniera facile e veloce quali sono i profili, tra chi ha sottoscritto un Patto per l’Inclusione Sociale o un Patto per il Lavoro, più indicati per essere inseriti in un determinato progetto, a seconda delle disponibilità e delle competenze del candidato.
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