Le motivazioni “tecniche” della presidente del Senato Elisabetta Casellati hanno un peso politico, ma anche un bel peso economico, visto che rischiano di mandare in fumo un giro d’affari stimato in oltre 40 milioni di euro.

Secondo quanto leggiamo su IlSole24Ore “per la coltivazione e la vendita di piante, fiori e semi a basso contenuto di principio psicotropo (Thc) si stima un giro d’affari di oltre 40 milioni di euro con un rilevante impatto occupazionale per effetto del coinvolgimento di centinaia di aziende agricole”.

Quella che il centrodestra chiama vendita di droga, è un giro d’affari che potrebbe creare posti di lavoro, che con la droga non ha nulla a che vedere. I dati arrivano direttamente dalla Coldiretti che ha pubblicato un rapporto sull’industria della cannabis.

In teoria la cannabis light, quella con un contenuto di Thc non superiore allo 0,5%, può essere commercializzata in Italia, ma ora come ora, in seguito alla sentenza di maggio della Corte di Cassazione, ci sono diverse limitazioni. E’ vitata ad esempio la vendita di olio, resina e inflorescenze derivanti dalla canapa, possono invece essere liberamente commercializzati “alimenti e cosmetici, semilavorati quali fibra” nonché “carburanti per uso industriale”.

I negozi di Cannabis Light a rischio chiusura

La sentenza della Corte di Cassazione di maggio scorso non ha portato alla chiusura dei negozi di cannabis light, ma ora che l’emendamento proposto dai senatori 5 Stelle Mantero e Mollame è stato dichiarato inammissibile dalla Casellati, il rischio che gli shop finiscano per chiudere inizia a diventare tangibile.

Il testo presentato dai 5 Stelle dichiarato inammissibile prevedeva la regolamentazione della cannabis in forma “essiccata, fresca, trinciata o pellettizzata ai fini industriali, commerciali ed energetici” e si stabiliva anche una tassazione di 0,5 euro al grammo sul prodotto finito.

Le stime della Coldiretti

Nel 2013 in Italia erano 400 gli ettari di terreno coltivati a canapa, che secondo una stima della Coldiretti sarebbero diventati circa 4.000 nel 2018. Le coltivazioni sono diffuse a macchia di leopardo più o meno su tutto il territorio nazionale, tra le campagne di Puglia, Sicilia, Sardegna, Basilicata ma anche al nord in Piemonte, Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia.

Il giro d’affari stimato raggiungerebbe i 40 milioni di euro. Sono infatti centinaia le aziende agricole italiane che hanno investito nel business della canapa industriale. E se ai banchi del centro destra siedono parlamentari totalmente disinformati (o in malafede) che accostano questa industria al mercato della cocaina, la realtà dei fatti è molto diversa.

Sempre da IlSole24Ore apprendiamo che “la coltivazione della cannabis in Italia riguarda soprattutto esperienze innovative, con produzioni che vanno dalla ricotta agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorio alle bioplastiche, dai cosmetici all’alimentare”.

Ma di prodotti a base di canapa ce ne sono veramente tanti, l’elenco è lungo: biscotti, pane di canapa, taralli, farina di canapa, olio. Alcuni usano la canapa anche per produrre ricotta, mentre i vegani possono produrre tofu, o una gustosa bevanda. Con la cannabis si può fare anche la birra, insomma la cannabis può essere praticamente qualsiasi cosa, ma non droga.

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