Al centro del vertice tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Lakshmi Mittal, quattro proposte che potrebbero ricucire lo strappo e permettere la ripartenza del dialogo. Si parla di immunità penale e garanzie sull’altoforno 2, ma anche di nuovi alloggi per gli abitanti del quartiere Tamburi e di riconvertire l’altoforno 1 con l’uso del preridotto.
Se il dialogo potrà ripartire dipenderà quindi da queste quattro proposte, dopo uno strappo che dal 4 novembre si è protratto fino ad oggi con scarse prospettive di essere sanato. Il premier ha un obiettivo chiaro che ha sempre ribadito in ogni occasione: ArcelorMittal non deve andare via. Si tratta di un investitore che ha scommesso sullo stabilimento dell’ex Ilva ormai un anno fa, e bisogna fare in modo che resti.
“Non è detto che sia un incontro risolutivo” ha dichiarato il presidente del Consiglio cercando di far restare tutti coi piedi per terra, ma se per la prima settimana sembrava non ci fosse alcuna speranza di trattenere la società franco-indiana, ora si inizia ad intravedere uno spiraglio.
D’altra parte era stato annunciato il calendario dello spegnimento dei forni, con date che prevedevano lo spegnimento totale dell’acciaieria entro il mese di gennaio. Ora quel calendario è stato ritirato e già questo è senza dubbio un segnale chiaro di un cambio di atteggiamento. L’addio di ArcelorMittal però, almeno sulla carta, rimane fissato tra meno di due settimane, nonostante il ricorso dei commissari straordinari al Tribunale civile di Milano e il lavoro svolto dalla procura di Taranto.
Per quel che riguarda lo scudo penale, uno dei quattro punti cardine del vertice con Mittal, Conte non intende esporsi subito. Prima di tutto perché ci si aspetta anzitutto un segnale di apertura da parte della società, ma soprattutto perché sin dal principio quello dello scudo penale è stato indicato dall’ArcelorMittal come una questione marginale, o quantomeno non il centro del problema per la prosecuzione del piano industriale e ambientale.
La mossa che ci si aspetta dalla compagnia è quella del ritiro del taglio dei posti di lavoro. ArcelorMittal aveva parlato di 5 mila esuberi quando ha aperto la procedura di recesso dal contratto di affitto con obbligo di acquisto delle acciaierie, ora dovrebbe ritrattare quel numero, magari dimezzandolo.
Qui la faccenda si fa complicata, come spiega Il Messaggero. Banca Intesa Sanpaolo è azionista al 5,6% di AmInvestco, che è il veicolo attraverso cui ArcelorMittal ha preso possesso dell’acciaieria di Taranto, ed è proprio la banca a giocare un ruolo di primaria importanza in questa vicenda.
La banca ha infatti previsto misure “a supporto del rilancio del territorio mediante una combinazione pubblico-privato per creare condizioni di lavoro sostenibili”, e secondo Il Messaggero il piano “necessita di circa 1 miliardo di investimenti”, motivo per cui il governo ha allertato l’istituto bancario, principale creditore dell’amministrazione straordinaria.
C’è poi la questione che riguarda il rione Tamburi e per l’esattezza quello che “riguarda la tecnologia legata alla riconversione del piano ambientale. Comporta una riduzione della forza lavoro che potrebbe essere assorbita dalla Cassa Depositi e Prestiti mediante misure compensative, cioé schierando Cdp Immobiliare attiva nell’housing sociale. Gli immobili di proprietà potrebbero ospitare gli sfollati del rione Tamburi” che è quello più vicino all’acciaieria e quindi quello che ha pagato il prezzo più alto in termini di salute.
Potrebbe quindi ripartire uno degli interventi che erano previsti dal Contratto istituzionale di sviluppo per Taranto del 2015, che consisterebbe nella realizzazione di uno spazio urbano attrezzato ed edilizia residenziale pubblica nel rione Tamburi, di tipo sostenibile ed ecocompatibile.
Questa dovrebbe essere una soluzione in grado di offrire alloggi per 154 persone che intendono rimanere nel quartiere a seguito della demolizione dei fabbricati dichiarati inquinati ed inagibili. Un progetto che al momento viene gestito dal Comune di Taranto, con l’entrata in gioco poi della Cassa Depositi e Prestiti.
Secondo quanto riportato da IlFattoQuotidiano “toccherebbe a loro assorbire quella forza lavoro in eccesso per la ‘tecnologia legata alla riconversione del piano ambientale”. In poche parole ora esiste la possibilità concreta di procedere con la riconversione dell’altoforno 1 con l’uso del preridotto, che permetterebbe di fare a meno di una parte della manodopera nel nuovo impianto.
Quanto al come, si tratta di un progetto di cui si parla da tempo, che era stato proposto anche da Acciaitalia, l’altra concorrente per l’aggiudicazione del bando dell’ex Ilva poi sconfitta da ArcelorMittal. Il piano, sempre secondo IlFattoQuotidiano, “prevede l’uso di un semiprodotto di ferro da scaldare e fondere in un apposito apparecchio che prenderebbe il posto dell’altoforno 1 e di un forno elettrico al posto dei convertitori a ossigeno che trasformano la ghisa in acciaio”.
Alcuni ostacoli potrebbero però essere rappresentati da un paio di fattori. Il primo dei due riguarda i tempi di conversione dell’impianto; il secondo invece riguarda la fornitura di gas, perché servirebbe un fornitore di lungo periodo disposto in quanto tale ad applicare un prezzo standard sostenibile e non legato alle oscillazioni del mercato.
Tra i punti su cui ruota la trattativa ce ne sono poi due a favore di ArcelorMittal. Il primo è quello cui si è accennato all’inizio che prevede il reinserimento dello scudo penale, che Conte si è detto disposto a “discutere” a patto che dalla compagnia franco-indiana giungano segnali di apertura.
Il secondo punto è quello che riguarda le garanzie sull’altoforno 2, per il quale era stato previsto lo spegnimento, e nel merito è atteso il giudizio del Tribunale di Taranto. Secondo i commissari le probabilità che sia necessario procedere con lo spegnimento sono minime, infatti nel ricorso d’urgenza ex articolo 700 consegnato ai giudici milanesi, tale rischio è stato definito “altamente improbabile”.
Nella perizia consegnata ai magistrati il 13 novembre si legge che “l’Afo2 è gestito minimizzandone i rischi”, e questo dovrebbe indicare che l’ipotesi dello spegnimento sia da escludere.
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