Abbiamo visto Venezia in ginocchio in questi giorni, sommersa dall’acqua e dalle critiche per quanto sta accadendo, e molti di noi si sono chiesti: ma come fanno nei Paesi Bassi? Domanda legittima, infatti loro il problema delle inondazioni, trovandosi al di sotto del livello del mare per il 40% del loro territorio, lo hanno dovuto affrontare e necessariamente risolvere.
L’Olanda ha fatto i suoi conti quindi, per l’esattezza dopo la grande inondazione arrivata del Mare del Nord nel 1953. Allora si combinò una straordinaria alta marea primaverile e un forte ciclone, con risultati catastrofici che produssero numerose vittime. Nei Paesi Bassi i morti furono 1.836, soprattutto nel territorio della Zelanda.
Le dighe che fino ad allora erano bastate per tenere la situazione sotto controllo, mostrarono i loro evidenti limiti quando la corrente spinse acqua verso l’interno del Paese per più di trenta ore consecutive. Così dovettero correre ai ripari e prospettare soluzioni diverse.
In Italia negli anni ’50 non si era nemmeno iniziato a parlare di soluzioni per la città di Venezia. Del Mose, acronimo che sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico, si inizia a parlare intorno alla metà degli anni’70, quando in Olanda il problema delle inondazioni era bello che risolto. Poi il progetto viene lanciato nel 1988 dal Consorzio Venezia Nuova, e ha lentamente raggiunto il 94% di realizzazione, ma ad oggi non è mai entrato in funzione.
Prima di optare per la soluzione-non soluzione Mose l’Italia aveva, giustamente, interpellato proprio l’Olanda, che vista l’indubbia esperienza maturata avrebbe potuto offrire valide alternative. L’Olanda è un Paese che delle soluzioni per le inondazioni ha fatto un business nel senso che le esporta letteralmente in Paesi di tutto il mondo, traendone un fatturato di circa 7 miliardi di euro annui. Tuttavia alla fine per Venezia fu il Mose a conquistare la fiducia degli Italiani.
L’Olanda e il Piano Delta
A pochi mesi dal disastro del 1953 l’Olanda non aveva altra soluzione se non quella di ricorrere a quattro enormi blocchi di cemento che sarebbero poi stati posizionati tra la spiaggia e l’acqua per arginare il fenomeno delle maree straordinarie.
La realizzazione di questi blocchi era stata studiata nel corso delle Seconda Guerra Mondiale, ma il progetto era mirato alla costruzione di porti artificiali. In ogni caso oggi i quattro blocchi di cemento frangiflutti Phoenix sono divenuti sede del Watersnood Museum, a Ouwerkerk, col quale si commemorano le vittime dell’inondazione del ’53, ma non solo.
All’entrata del Watersnood Museum si legge “per ricordare, imparare e guardare al futuro”. E così fece l’Olanda, che tra il 1954 e il 1997 lavorò al progetto del Piano Delta, quella che diventò poi la più grande opera per la protezione dal mare esistente al mondo.
Attraverso il Piano Delta si tengono sotto controllo le aree della foce del Reno, della Mosa e della Schelda attraverso un sistema costituito da 13 opere idrauliche. Il sistema è composto da tre chiuse, quattro barriere anti-mareggiata e sei dighe. La più complessa è senza dubbio la diga della Schelda Orientale, che consiste di uno sbarramento di nove chilometri che ha il compito di proteggere dal mare la città di Amsterdam.
La sola diga della Schelda Orientale (Oosterscheldekering) costò 2,5 miliardi di euro, pari a circa 2 terzi dell’intero Piano Delta. Vi è poi un’altra grande opera fondamentale, quella della diga di sbarramento antitempesta di Rotterdam, che fu invece completata nel 1997.
La soluzione olandese per la città di Venezia
Fu l’architetto Fernando De Simone, rappresentante in Italia dei gruppi olandese Tec e norvegese Nordcosult a presentare il progetto alternativo al Mose per Venezia. Era l’estate del 2001, e ancora sul Mose non c’erano certezze, così De Simone presentò all’allora sindaco di Venezia, Paolo Costa un progetto che riprendeva abbastanza fedelmente quello olandese delle dighe di Rotterdam.
Si trattava di paratie mobili, ma a differenza di quelle del progetto Mose avrebbero avuto i dispositivi meccanici necessari per spostare le paratie posizionati all’asciutto, all’interno di gallerie sotterranee situate ai lati delle tre bocche del porto, invece che sul fondale.
Un’idea che poteva funzionare, d’altra parte a Rotterdam erano anni che faceva il suo dovere, e anche i costi erano abbordabili, o quantomeno molto più bassi di quelli fin’ora sostenuti per il Mose. Il costo del progetto sarebbe stato di un miliardo e 200 milioni di euro, vale a dire 400 milioni per ogni bocca di porto, e sarebbe stato terminato in 5 anni.
La proposta di De Simone rimase lì per un paio d’anni, e intanto si continuava a valutare la soluzione Mose. Così nel 2003 l’architetto la ripropone, e la ripropone ancora nel 2006. In quest’ultima occasione gli allora ministri delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, e dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio furono anche invitati dalla stessa Tech “a visitare la diga mobile di Rotterdam, prima della decisione finale sul Mose” racconta De Simone.
“Il progetto della diga mobile di Rotterdam che funziona perfettamente da oltre sette anni è stato scelto dopo aver analizzato numerosi progetti alternativi, compreso il progetto Mose” spiegava l’architetto 13 anni fa. Disse anche che nei pressi della diga di Rotterdam c’è un piccolo museo nel quale sono stati esposti i progetti scartati dagli olandesi, e tra questi ce ne sarebbe uno simile a quello del Mose che fu “escluso perché considerato pericoloso e perché avrebbe previsto una manutenzione costosissima”.
E infatti per il Mose, ammesso che funzioni, dovranno essere spesi circa 80 milioni di euro l’anno solo per la manutenzione delle cerniere, che trovandosi sott’acqua, e non essendo state realizzate coi giusti materiali, rischiano di arrugginirsi.
Il sistema anti-inondazione dell’Olanda
Era il 2007 quando la maxi-diga che protegge dalle inondazioni il porto di Rotterdam è stata azionata per la prima volta. Allora le previsioni anticipavano l’arrivo di una tempesta del Mare del Nord che avrebbe potuto causare inondazioni, così il canale Nieuwe Waterweg, che collega Rotterdam al mare del Nord fu sbarrato al raggiungimento della soglia critica.
La diga si compone di due paratoie a forma di arco di 22 metri di altezza e 210 metri di lunghezza, per la realizzazione delle quali sono state utilizzate 15mila tonnellate di acciaio, in pratica il doppio della quantità che fu necessaria per costruire la Torre Eiffel.
Le paratie sono attivate da due leve metalliche di 250 metri di lunghezza, ma il meccanismo è automatico, innescato direttamente dall’innalzamento del livello del mare. Il sistema di paratie del porto di Rotterdam è progettato per resistere a maree eccezionali, ed è quindi in grado di sopportare una pressione di 30mila tonnellate.
Completamente diversa invece la diga della Schelda orientale, che è formata da 65 piloni e 62 paratie scorrevoli di altezza che varia dai 6 ai 12 metri. Il meccanismo si attiva mediamente una volta l’anno, ed è in grado di abbassare completamente le chiuse in 75 minuti circa.
Inizialmente si era pensato di tenere la diga costantemente chiusa, poi però si preferì optare per una soluzione diversa, quella della diga semi-aperta, anche per andare incontro agli ambientalisti e pescatori che temevano la scomparsa di flora e fauna marina per via di livelli di salinità che rischiavano di essere alterati.
Oosterscheldekering, l’ottava meraviglia del mondo
Da alcuni la diga della Schelda orientale è considerata l’ottava meraviglia del mondo, per altri invece non lo è affatto, e non mancano le critiche. Le opere realizzate in Olanda, con la loro lunghezza di 25 chilometri, hanno di fatto ridotto la costa del Paese di circa 700 chilometri, e non mancano quelli che vorrebbero trovare soluzioni meno invasive, e ragionano in un’ottica green.
A Venezia invece la priorità, nell’ambito della soluzione del problema dell’acqua alta, è quella dell’invisibilità della barriera. Una soluzione come quella del porto di Rotterdam quindi non poteva che essere scartata per una questione di impatto visivo.
Ma tornando all’Olanda, possiamo affermare che senza il Piano Delta il Paese si sarebbe alla fine trasformato in una enorme palude per via di una serie di fattori. Tuttavia le dighe che sono state realizzate a partire dagli anni ’50 non possono essere considerate una soluzione definitiva, soprattutto a causa del cambiamento climatico.
Il riscaldamento globale causa un costante innalzamento del livello degli oceani, quindi le dighe olandesi dovranno essere rinforzate e rialzate. Il governo d’altra parte aveva già previsto un’impennata della spesa pubblica per far fronte al problema.
In base a quanto riportato nel rapporto presentato dalla Commissione Delta, per evitare futuri disastri causati dall’innalzamento dei livelli del mare si dovranno spendere tra gli 1,2 e gli 1,6 miliardi di euro l’anno fino al 2050. Sarà necessario realizzare nuove dighe, rafforzare la costa del mare del Nord con tonnellate di sabbia e procedere con la costruzione di numerosi canali.
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