Va avanti ormai da otto settimane la protesta dei cittadini della regione amministrativa speciale di Hong Kong, ed ora il governo di Pechino inizia a perdere la pazienza, ed invita a punire i responsabili delle violenze alle manifestazioni di protesta e di “ristabilire l’ordine al più presto“.
A riferirlo un portavoce dell’Ufficio per Hong Kong e Macao del Consiglio di Stato Xu Luying durante una conferenza stampa tenutasi a Pechino. Secondo il portavoce, i manifestanti avrebbero “gravemente compromesso la stabilità e prosperità del territorio”.
Lo stesso portavoce ha dichiarato: “riteniamo che al momento il compito prioritario di Hong Kong sia quello di sanzionare le azioni violente e illegali in conformità alla legge, ristabilire l’ordine al più presto e mantenere un ambiente propizio per gli affari.”.
La situazione per le strade di Hong Kong
Domenica sera ci sono stati 49 arresti tra i manifestanti, e 16 feriti. E’ il terzo giorno consecutivo, dopo 8 settimane di proteste, che il Movimento per la democrazia tenta di raggiungere il centro nevralgico della città per dare l’assalto alla delegazione del governo cinese. Un altro tentativo che come gli altri è stato sventato dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa, in quelle strade che si sono trasformate in un vero e proprio campo di battaglia.
Gli stessi manifestanti si sono attrezzati alla bell’e meglio per far fronte alle cariche della polizia, coprendo i volti con degli ombrelli. Gli scontri in pieno centro si sono tenuti davanti alle insegne luminose dei negozi, tra il fuggi fuggi generale dei locali e dei turisti.
I manifestanti erano stati confinati dalla polizia nel Charter Garden, un parco situato nel distretto commerciale, ma i manifestanti hanno ignorato il divieto e si sono riversati nelle strade, sabato a Yuen Long, domenica a Sai Wan e a Causeway Bay. Si sono diretti in due direzioni opposte e sono riusciti a bloccare le principali strade di accesso al centro della città.
Alcune barricate sono state erette a Sogo, mentre alcuni manifestanti si sono diretti verso l’ufficio di rappresentanza di Pechino. Contro i manifestanti sono stati sparati proiettili di gomma man mano che si avvicinavano al Liaison Office, che dopo gli attacchi dei giorni scorsi è stato circondato da una barriera mentre l’emblema della Repubblica Popolare Cinese è ora difeso da una teca di plexiglas.
Com’è iniziata la protesta di Hong Kong
La protesta di Hong Kong è cominciata i primi giorni di giugno in seguito alla presentazione di una proposta di legge che avrebbe consentito l’estradizione in Cina di persone giudicate colpevoli di reati. La proposta aveva incontrato il tacito assenso della governatrice Carrie Lam, della quale i manifestanti hanno subito chiesto le dimissioni, ma è stata successivamente congelata, anche se non ritirata in maniera definitiva, dal governo autonomo.
Il movimento di protesta chiedeva quindi nuove elezioni, ma al contempo accusava la polizia locale di complicità con gang violente in maglietta bianca che sarebbero collegate alle Triadi, responsabili di aver aggredito e picchiato decine di manifestanti in maglietta nera.
Ad ogni modo, il movimento per la democrazie che sta portando avanti le manifestazioni di queste settimane, esiste da tempo ad Hong Kong, e nasce dall’esigenza di garantire un futuro d’indipendenza all’ex colonia britannica. In base agli accordi di restituzione del 1997, la Cina si impegna a garantire il principio di “un Paese, due sistemi” per 50 anni, ma il movimento ritiene che le garanzie da esso derivanti si stiano progressivamente sgretolando.
Secondo il movimento per la democrazia, Pechino starebbe usando un atteggiamento sempre più intimidatorio. Alcuni dissidenti di Hong Kong, tra cui alcuni librai e un imprenditore, sono spariti per poi scoprire essere stati messi agli arresti in Cina.
La situazione è delicata anche perché, sebbene in base agli accordi validi fino al 2047, le forze armate cinesi non possono interferire nelle vicende interne di Hong Kong, in casi eccezionali in cui viene messo gravemente a rischio l’ordine pubblico, il governo dell’ex colonia può di fatto chiede che le truppe stanziate sull’isola intervengano.
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