Il prezzo del petrolio inizia il secondo semestre rivelando subito poco smalto. Mentre è in corso la scrittura del post, le quotazioni del greggio sono attestate a 75 dollari al barile (il Brent) e a 70 dollari al barile (il WTI).
Si tratta di una situazione che sintetizza perfettamente quella che è la “storia” degli ultimi trimestri. Il Brent ha registrato ben 4 trimestri consecutivi tinti di rosso mentre il WTI ha messo in fila 2 trimestri consecutivi negativi. Insomma per la quotazione petrolio è buio completo e l’impressione è che il trend negativo sia destinato a proseguire anche nei prossimi mesi.
Le preoccupazioni per un rallentamento dell’economia globale e i possibili ulteriori rialzi dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve sono i due fattori che spingono gli investitori ad un approccio negativo sul greggio.
Da inizio anno ad oggi, il prezzo del petrolio ha già perso il 12 per cento del suo valore dopo che i segnali sulle difficoltà di crescita della Cina sono aumentati. In più va tenuto conto che l’export da Russia e Iran si è sempre mantenuto su alti livelli e questo ha determinato la disponibilità di una forte offerta.
Il secondo semestre 2023 rischia di essere, perlomeno all’inizio, una replica del primo. Venerdì 30 giugno sono stati diffusi gli ultimi dati sull’inflazione Usa. I prezzi al consumo degli Stati Uniti continuano ad essere superiori al target del 2 per cento fissato dalla FED. Ovviamente questo non fa altro che alimentare le aspettative su un ulteriore rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve dopo la pausa del mese scorso.
Il meccanismo che si attiverebbe sarebbe sempre lo stesso: tassi di interesse più alti portano al rafforzamento della quotazione del dollaro Usa e quindi me materie prime, espresse in biglietti verdi, costerebbero di più. In questo contesto, la flessione della domanda di petrolio sarebbe inevitabile e quindi scontato l’ulteriore calo dei prezzi.
Marwan Younes, chief investment officer dell’hedge fund Massar Capital Management, ha recentemente affermato che il consumo di carburante si sta indebolendo in Cina e in Europa e questo è un segnale ribassista molto chiaro.
Il problema è che a fronte di questa riduzione della domanda non ci sono segnali su una contrazione dell’offerta da parte dei paesi produttori. Restando questa alta, i prezzi non potranno che proseguire con il trend di discesa.
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Lo scenario alternativo per il secondo semestre 2023: e se i prezzi salissero?
Non tutti gli analisti sono appiatti sulla view che vede le quotazioni petrolifere in ulteriore ribasso nel secondo semestre 2023. Secondo alcuni esperti non è invece da escludere lo scenario opposto ossia il restringimento delle forniture da parte dei paesi produttori e quindi la ripresa delle quotazioni del greggio anche in un contesto caratterizzato da una domanda in ribasso a causa della recessione.
Questa prospettiva alternativa fa leva su un fattore ben preciso: la posizione dell’Arabia Saudita. Riad, già nelle scorse settimane, si è detta pronta ad eseguire un ulteriore taglio della produzione di 1 milione di barili al giorno nel mese di luglio. Un’ipotesi che, unita alla decisione degli Usa di ricostruire la loro riserva di petrolio, potrebbe determinare un calo dell’offerta e quindi un rialzo dei prezzi.
Come evidenziato da Tina Teng, analista di CMC Markets, i tagli multi-produzione dell’OPEC+ (produttori + la Russia) hanno spinto i prezzi del greggio sopra ai livelli chiave e questo meccanismo potrebbe portare ad una riduzione della produzione di greggio da parte del cartello con l’obiettivo di provare a dare una stabilità alle quotazioni petrolifere.
Una prospettiva interessante ma, a conti fatti, poco supportata dai fatti. Stando all’ultimo sondaggio della Reuters, infatti, la produzione petrolifera dell’OPEC a giugno ha segnato solo una debolissima contrazione poiché gli aumenti in Iraq e Nigeria hanno bilanciato l’impatto dei taglio che sono stati eseguiti da altri paesi.
Molto chiaro su questo punto è il parere di Charu Chanana, stratega di mercato per Saxo Capital Markets Pte, secondo cui nel terzo trimestre i prezzi del petrolio potrebbero continuare ad essere molto dipendenti dalle preoccupazioni sulla domanda, tuttavia non è da escludere che il taglio dell’offerta deciso dall’OPEC possa iniziare a manifestare i suoi effetti soprattutto se dovesse essere esteso anche ad agosto.
Insomma la situazione resta estremamente fluida. E allora come investire?
Prezzo Petrolio in ribasso: come investire con i CFD?
Dal punto di vista tecnico, è plausibile che nel breve termine la volatilità si concentri nell’area tra i 70 e i 73,5 dollari. Se ci dovesse essere una pressione al ribasso, le quotazioni potrebbero portarsi fino a 70 dollari e verso i supporti intermedi in area 68,5 e 67,5 dollari al barile. Una volta superati questi livelli intermedi, il trend ribassista potrebbe portare il petrolio fino a 66 dollari al barile ma in questo caso ci sarebbe una inversione ribassista molto spiccata.
Ad ogni modo, la volatilità è sempre fondamentale per fare trading sul prezzo del greggio. Fondamentale è operare con strumenti che consentono sia di speculare sia al rialzo che al ribasso. Strumenti come ad esempio i Contratti per Differenza che non implicano l’acquisto del sottostante. Per fare trading con i CFD sul petrolio è consigliabile iniziare sempre da un conto demo gratuito come quello proposto dal broker eToro. Questo fornitore mette a disposizione 100mila euro virtuali proprio per imparare a fare pratica senza rischi.
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