Le quotazioni dell’oro sono state condizionate dalle decisioni dell’OPEC+ sulla produzione di greggio? E’ questa la domanda che un lettore ci ha posto. In effetti considerando la performance recente del metallo giallo e il timing delle recenti (e criticatissime) decisioni dell’organizzazione dei paese produttori di petrolio qualche dubbio sorge.
Non è un mistero che le delibere dell’OPEC sulla produzione di greggio condizionino la quotazione petrolio. Del resto l’offerta è una delle leve che determina i prezzi del greggio e quindi se la produzione viene ridotta, ma la domanda da parte dei consumatori resta stabile, allora le valutazioni dell’oil registrano un calo.
E nel caso del prezzo dell’oro? C’è una qualche correlazione?
Analizzando quando avvenuto lo scorso lunedì 3 aprile (il giorno successivo alle decisioni dell’OPEC) si può notare come le decisioni dei produttori abbiano avuto impatto sull’oro. Quanto avvenuto si può sintetizzare in un segnale molto chiaro: gli investitori sono stati messi in guardia sulle prossime tendenze del gold tutto questo in un contesto generale caratterizzato da un intreccio, sempre più stretto, tra inflazione, politiche monetarie delle banche centrali e valutazione del dollaro Usa.
Sempre lunedì 3 aprile, il dollaro Usa aveva bruciato i suoi guadagni infra giornalieri al massimo di una settimana. Ciò si è verificato proprio a causa delle preoccupazioni per il percorso di rialzo dei tassi che la Federal Reserve attuerà nel prossimo futuro. Quindi l’approccio della banca centrale Usa conferma di essere l’elemento che più condiziona il prezzo dell’oro. Questo, a prescindere da tutto, per un motivo molto semplice: il gold è denominato in dollari Usa.
Da non tralasciare il fatto che proprio recentemente la FED aveva fatto passare tra le righe un messaggio abbastanza chiaro: il ciclo di rialzo del costo del denaro sarebbe stato messo in pausa a causa della violenta crisi del settore bancario. Questa ipotesi ha trovato sostegno nei più recenti dati macro Usa. L’indice dei prezzi della spesa per i consumi personali (PCE) dagli Stati Uniti aveva lasciato intuire un raffreddamento dell’inflazione.
Ma torniamo all’oro. La decisione dell’OPEC+ di tagliare il livello di produzione di greggio potrebbe spingere l’inflazione verso l’alto. Uno scenario simile sarebbe una doccia fredda per la svolta moderata della FED. Secondo gli analisti è molto probabile che se il rialzo dei prezzi del greggio dovesse causare una risalita dell’inflazione (ma la condizione affinchè questo scenario si possa verificare è che la domanda di petrolio resti sugli attuali livelli e quindi sia l’offerta -ridotta- a dettare legge) allora la banca centrale Usa non potrà far altro che tornare sui suoi passi.
Attualmente le stime sulle prossime mosse di politica monetaria della FED vedono un rialzo di soli 25 punti base. Questa è l’attesa per per la riunione del FOMC di maggio. Una decisione simile potrebbe spingere al rialzo i rendimenti dei buoni del Tesoro Usa. A sua volta questa dinamica avrebbe come conseguenza l’aumento della quotazione del dollaro. I traders potrebbero quindi essere scoraggiati dall’assumere un approccio long sul prezzo dell’oro, almeno in questa fase.
Il discorso può sembrare strano tuttavia, nonostante è vero che l’oro è un asset di copertura nelle fasi caratterizzate da alta inflazione, non ci sono dubbi sul fatto che i tassi più alti spesso riducono il livello di attrattività di quegli asset che, per loro natura, non pagano interessi.
Ricordiamo che per investire sul prezzo dell’oro (fluttuazioni) non è necessario acquistare oro fisico. Attraverso i CFD, infatti, si può speculare sulle differenze di prezzo del sottostante senza possederlo realmente. Un buon broker per fare trading sull’oro è eToro. Come i nostri lettori certamente sanno, su questo sito noi suggeriamo questa piattaforma per un motivo molto semplice: la possibilità di usare un conto demo con 100mila euro virtuali prima di investire con soldi reali.
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Concludiamo con un pensiero di Matt Simpson, analista di mercato senior presso City Index, secondo il quale “l’oro è ora vulnerabile a un calo a $1.900, dato il potenziale per un tasso Fed terminale più alto che i mercati stanno attualmente scontando“.
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