Continua la fase di estrema incertezza del greggio. Questa mattina la quotazione petrolio registra si un lieve rialzo ma tutto avviene in un contesto che continua ad essere condizionato da numerosi fattori negativi. L’impatto della pressione delle sell-news è evidentissimo se si considera il dato settimanale. Nell’ultima Ottava, infatti, il prezzo del petrolio ha perso circa il 10 per cento del suo valore. Considerando che ieri le quotazioni erano ai livelli di febbraio (del tutto cancellato, quindi, l’impatto derivante dalla guerra in Ucraina e dalla conseguente crisi geopolitica), è palese che il leggero recupero di oggi sia frutto di momenti tecnici e nulla altro.
Ma vediamo un pò di numeri per meglio inquadrare la complessità del momento. A metà mattinata il prezzo del petrolio WTI segna un rialzo dello 0,53 per cento a quota 89 dollari al barile mentre il contratto sul Brent recupera lo 0,18 per cento a 94 dollari al barile. Segno verde o no, non è necessario essere degli esperti di finanza per comprendere quanto lontano siano questi valori non solo dai massimi di primavera ma anche dalla quota psicologica dei 100 dollari al barile.
Prima di analizzare quale sono le ragioni alla base del forte sell che caratterizza il greggio, ricordiamo ai nostri lettori che fasi come queste, spesso, nascondono importanti occasioni operative. In linea di principio, infatti, un petrolio così a buon prezzo può essere un incentivo all’acquisto. Certo è necessario capire se ci sono o meno le condizioni per un futuro recupero (perchè in caso contrario comprare ora non sarebbe una buona idea) ma ad ogni modo il mercato è in movimento e ciò è fondamentale.
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Perchè prezzo petrolio non risale più?
Ci sono delle news specifiche che spiegano il duraturo movimento ribassista in atto sul prezzo del petrolio e poi c’è un contesto di riferimento che pesa come un macigno e che si chiama “recessione”. Iniziamo dalle sell-news. Se ieri il prezzo del petrolio è sceso sotto i 90 dollari è stato a causa dei dati diffusi dall’EIA. Come evidenziato dagli analisti di Equita, gli ultimi market mover hanno evidenziato un calo non atteso delle scorte commerciali di greggio e di benzina nell’ultima settimana di luglio in un contesto in cui le raffinerie hanno continuato a rallentare le lavorazioni e le consegne di prodotti.
Più nello specifico, le scorte strategiche di petrolio Usa nell’ultima settimana hanno evidenziato un rialzo a 4,5 milioni di barili, dato in netta controtendenza rispetto al preventivato calo a 600mila barili. Ebbene, secondo la sim milanese, questi non hanno fatto altro che alimentare le preoccupazioni su un possibile e inevitabile forte calo della domanda di petrolio a causa della recessione.
Dalle notizie specifiche al contesto generale il passo è breve e infatti le sell-news hanno riportato in primo piano una preoccupazione “vecchia” ossia la paura che la domanda globale di greggio possa subire le conseguenze di una recessione globale molto diffusa.
Sul petrolio domina il rischio recessione
In un conteso in cui non c’è giorno che le banche centrali non lancino precisi allarmi sul rischio recessione, pensare di rivedere il prezzo del petrolio al rialzo è decisamente difficile. La verità è che i prossimi mesi saranno molto difficili per l’oro nero. Appena due giorni fa, la Bank of England ha lanciato un alert che non lascia spazio alle interpretazioni: l’economia del Regno Unito è pronta ad entrare in recessione negli ultimi tre mesi del 2022 e a restarci per tutto il 2023.
Una prospettiva che, secondo alcuni analisti, dovrebbe interessante anche l’Eurozona. La BCE ha infatti detto chiaramente che la guerra in Ucraina sta mettendo a dura prova le fino a ieri positive stime di crescita del PIL.
E spostandoci in Asia la situazione non sembra essere poi così diversa. Anche l’economia cinese, infatti, sta mostrando segnali di debolezza preoccupanti tanto che il China Beige Book International si è spinto a parlare di deterioramento dell’economia di Pechino.
Insomma possono cambiare le latitudini geografiche ma non le tendenze in atto. Secondo Prashant Bhayani di BNP Paribas Wealth Management, i recenti dati sulle scorte Usa e la paure per la domanda di greggio sono alla base della nuova discesa del petrolio. Per l’esperto è evidente che il mercato sia più preoccupato per la crescita economica che per l’andamento dell’inflazione.
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