La settimana iniziata ieri è un concentrato di eventi macro di una certa importanza. Lunedì sono stati pubblicati i dati sul PMI composito dell’Europa relativo al mese di novembre, sulle vendite al dettaglio dell’Eurozona di ottobre, sul PMI servizi USA di novembre e sull’ISM non manifatturiero sempre relativo al mese di novembre. Dopo la pausa di oggi, domani toccherà alla produzione industriale della Germania di ottobre e al Pil dell’Europa del terzo trimestre 2022. Ancora una pausa e venerdì tocca poi ai prezzi alla produzione USA di novembre e al dato sulla fiducia dei consumatori del Michigan di dicembre.
Tutti questi market mover non faranno altro che alzare l’asticella in vista degli eventi clou della prossima settimana ossia i meeting della FED e della BCE. L’attenzione degli investitori è ovviamente rivolta alle decisioni della Federal Reserve. Un allentamento nel ritmo di rialzo dei tassi di riferimento avrebbe come conseguenza un ritorno significativo degli acquisti sul mercato azionario. Del resto siamo oramai vicini al cosiddetto rally di Natale e non è escluso che anche quest’anno (nonostante le premesse sembrino suggerire un certo pessimismo) il balzo non possa esserci.
Gli ultimi dati macro sembrerebbero allontanare l’ipotesi che possa addolcirsi in vista del summit Fomc del 14 dicembre. Se fino alla scorsa settimana la speranza che era il governatore potesse optare per un rialzo di 50 punti base (invece di 75 punti base) del costo del denaro, ora è la prima ipotesi ad essere tornata in auge. Logicamente il ritorno alle origini non ha fatto bene ai mercati e infatti ieri la borsa di Wall Street ha chiuso con una contrazione molto pesante.
Ad ogni modo, lasciando perdere quelli che sono gli orientamenti quotidiani, la verità è che non è assolutamente scontato che la FED possa alzare i tassi di 75 punti base.
Sul fronte macro, i più recenti indicatori diffusi dagli Usa non sembrano dare per scontata una recessione. Nella storia mai nessun paese è andato in recessione con un tasso di inflazione di appena il 3,7 per cento. Ovviamente c’è la prima vota per tutto ma le prime volte sono sempre difficili da realizzarsi.
Molto più probabile potrebbe essere un secondo scenario: inflazione in ribasso, consumi in aumento ma senza strappi significativi da impattare sui prezzi ma comunque sufficienti per dare sostegno al Pil e piena occupazione. Se dovesse realizzarsi una situazione simile (e non è detto che non possa realizzarsi) sarebbe un grandissimo successo per la Federal Reserve.
I rischi però non mancano. Se la FED dovesse assumere un atteggiamento ossessivo verso l’inflazione aumentando i tassi di interesse oltre il necessario, sarebbe un problema per tutta l’economia Usa. Cosa significa “problema”? Esattamente l’opposto del sogno di Powell ossia una recessione lunga e dura.
Insomma è la FED che decide tutto e che si gioca tutto.
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Come investire sulle mosse della FED
Se lo scenario dovesse essere quello delineato nel precedente paragrafo, quali sarebbero le scelte di investimento da effettuare? Insomma come investire il prossimo anno?
Iniziamo dalle questioni che si possono ritenere più scontate. Tanto per iniziare è altamente improbabile che i portafogli speculativi che hanno messo a segno prestazioni da record negli ultimi cinque anni possano far bene nei prossimo quinquennio. La loro epoca (almeno nel medio termine) si può considerare conclusa.
Per il resto ci sono tanti fattori che si muovono in parallelo: l’inflazione elevata (ma, e questo è l’elemento positivo) in vista di riduzione, la guerra in Ucraina e la forte volatilità dei costi energetici. Risultato di queste convergenze è che gli investitori sono in una situazione di incertezza così forte da ricordare quella della grande crisi finanziaria del 2008.
Premesso questo, come si può vedere dal grafico in alto, l’indice S&P 500 ha registrato un ribasso di quasi il 20 per cento da inizio anno, tuttavia al attese degli analisti vedono una crescita dell’EPS del 7 per cento il prossimo anno. Previsioni simili suggeriscono due scenari: o il mercato resta ancora troppo sottovalutato oppure tutte le previsioni fin qui elaborate sono errate e quindi urge una revisione.
I precedenti storici dicono che il calo mediano degli utili durante le recessioni degli ultimi 30 anni, si è sempre collocato tra l’11 e il 16 per cento. Se si dovesse restare in linea con lo storico, sarebbe lecito pensare che il consensus pecca di ottimismo. Del resto durante le recessioni degli ultimi 50 anni, i mercati sono scesi mediamente del 30 per cento dal picco al minimo e sono serviti 5 anni per tornare ai massimi necessari.
Come proteggersi dai ribassi?
Alla luce di quanto detto in precedenza (e dando per scontato un ribasso) come investire per proteggersi dai ribassi? Tanto per iniziare è bene precisare che non tutte le società pagano allo stesso modo la recessione.
Quando l’economia inizierà ad indebolirsi a causa del calo dei consumi, assisteremo ad una netta separazione tra quelle imprese che sono in grado di mantenere i margini e quelle che invece non riescono a resistere alla recessione. In questo contesto diventa quindi fondamentale riuscire a trovare realtà delle aziende di qualità che sono in grado di operare in un contesto avverso.
Fare selezione non è semplice ed è per questo che è necessaria molta competenza.
Ad ogni modo non bisogna mai dimenticare che anche quando i mercati sono in calo è possibile speculare. In che modo? Attraverso strumenti derivati come i CFD che permettono di guadagnare anche quando le borse sono in ribasso. Per imparare a fare short trading con i CFD si può usare il conto demo gratuito di eToro.
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