Inflazione Usa in primo piano sui mercati finanziari internazionali. Come da programma, alle ore 14,30 italiane, è stato diffuso il dato sull’indice CPI dei prezzi al consumo Usa relativo al mese di aprile 2022. Il marker mover ha evidenziato un rallentamento su base annua (e questa è una buona notizia poichè significa riduzione delle possibilità che la FED possa mettere mano ad un nuovo rialzo dei tassi di riferimento) ma non nelle dimensioni previste dal consensus (e ciò rappresenta una notizia molto meno positiva). 

Le borse sembrebbero aver percepito questa soddisfazione a metà e infatti tutti i mercati hanno ridotto la loro progressione proprio a partire dalle ore 14,30 ossia dal minuto successivo a quello in cui è stato pubblicato il dato sui prezzi al consumo Usa. 

Come hanno commentato alcuni analisti, quindi, l’inflazione ha parlato, non è andata male ma non è andata neppure come avevano previsto le attese. 

Sicuramente la pubblicazione dell’indice CPI, però, ha smosso l’andamento delle borse favorendo una certa volatilità. A titolo di esempio, il Nasdaq (tra i panieri americani maggiormente esposti alle vendite nei giorni scorsi) è passato da 11830 punti a 11730 punti, perdendo oltre 100 punti proprio a seguito della pubblicazione del dato sull’inflazione Usa.

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Inflazione Usa aprile 2022: ecco come è andata

Nel mese di aprile, l’inflazione degli Stati Uniti, ha evidenziato un rallentamento passando dal +8,5 per cento su base annua di marzo al +8,3 per cento. Come detto in precedenza, la decellerazione c’è ma è meno consistente delle attese della vigilia visto che il consensus puntava su un +8,1 per cento. 

Inutile farsi delle illusioni perchè il tasso di inflazione resta ai livelli record degli ultimi 40 anni. Una discesa ai livelli indicati dalle previsioni avrebbe infatti rappresentato un cambio di passo palese ed evdente. Invece rallentando solo dello 0,2 per cento, il CPI non scioglie in modo definitivo il dubbio con cui gli investitori già da giorni si sono ritrovati costretti a fare i conti: l’inflazione con il rally di marzo ha raggiunto o no il suo apice?

Scendendo nel dettaglio del dato, a rallentare nel mese di aprile è stata anche componente core dell’indice CPI che su base annua ha segnato un aumento del 6,2 per cento. Anche per quello che riguarda questa sottovoce, si ripetono le stesse proporzioni del CPI generale: il parametro core, infatti, è certamente in calo rispetto al +6,5 per cento di aprile ma resta comunque superiore al +6 per cento stimato. 

Proseguendo con l’analisi del dato macro, su base mensile l’inflazione core degli Usa ha segnano un aumento dello 0,3 per cento contro +0,2 per cento che era atteso. Una leggera delusione quindi, anche se occorre tenere presente che non c’è paragone rispetto al +1,2 per cento di marzo. L’inflazione core, dal canto suo, ha segnato un rialzo dello 0,6 per cento, rispetto al +0,4 per cento stimato e al +0,3 per cento precedente. In questo caso, quindi, il dato è stato superiore a quello precedente. 

Le attese degli analisti avevano puntato su un rallentamento dell’inflazione dal rialzo mensile di marzo dell’1,2 per cento allo 0,2 per cento di aprile. Anno su anno, invece, il consensus prevedeva un trend di crescita dell’8,1 per cento dopo il +8,5 per cento di marzo.

Ricordiamo che era appena la scorsa settimana, quando la diffusione del market mover relativo ai costi unitari del lavoro aveva spalancato le porta ai timori di una impennata dell’inflazione. Tutto questo appena 24 ore dopo la decisione della FED di alzare i tassi di riferimento di 50 punti base portandoli ad un nuovo range compreso tra lo 0,75 per cento e l’1 per cento. 

Sempre restando in tema di dati macro, da non dimenticare come la produttività degli Stati Uniti, sempre nello stesso arco temporale, ha evidenziato il peggior calo dal lontano 1947, precipitando di ben il 7,5 per cento nettamente peggio del -5,4 per cento che era invece atteso dagli analisti. 

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