Diamo uno sguardo alla stagione delle trimestrali Usa. Dalla scorsa settimana la borsa di Wall Street è profondamente condizionata dalla pubblicazione dei conti trimestrali di numerose quotate. Ad inaugurare la fase delle trimestrali sono state le grandi banche d’affari e fondi ma, nei prossimi giorni, saranno gli industriali e quindi i titoli tech a prendersi la scena.
Come certamente noto agli investitori che guardano al mercato americano, la pubblicazione delle trimestrali è il più classico degli asset da sfruttare per investire sia sulle azioni interessate che sugli indici di borsa. Tra l’altro è possibile investire su entrambi i mercati da una sola piattaforma grazie a broker come ad esempio eToro (qui la nostra recensione) che offrono anche la demo gratuita per imparare a fare pratica (qui il sito ufficiale).
Premesso questo, come sta andando la stagione delle trimestrali Usa? Lo scorso venerdì, la borsa di Wall Street ha messo a segno una forte progressione in avanti che ha permesso a tutti gli indici di consolidare la propria performance su base settimanale. Questi i dati finali della settimana chiusa il 15 ottobre
- Dow Jones in rialzo dell’1,6 per cento (maggiore guadagno settimanale dal mese di giugno)
- Nasdaq in rialzo del 2,2 per cento
- S&P 500 avanti dell’1,8 per cento (migliore prestazione settimanale da luglio).
Il rialzo registrato da Dow Jones e S&P 500 è stato frutto dei forti acquisti che hanno caratterizzato molte delle banche d’affari alle prese con la pubblicazione dei rispettivi conti trimestrali.
Ad esempio il prezzo delle azioni Goldman Sachs ha registrato una progressione del 3,8 per cento salendo a quota 406,07 grazie proprio ai guadagni per 5,38 miliardi di dollari messi a segno nel terzo trimestre dell’anno fiscale (+60 per cento su base annua, variazione superiore a quelle che erano le attese degli analisti).
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Tirando le somme (che poi è l’obiettivo di questo post), al momento le preoccupazioni circa la possibilità che i conti trimestrali delle quotate Usa potesse deludere le stime si sono dimostrate infondate. Attenzione perchè quando parliamo di paure non intendiamo generici timori, ma preoccupazioni che fino ad un mese fa erano ritenute fondate come emerge della numerose revisioni in negativo operare nel mese di settembre.
Ad ogni modo, smentendo questo sentiment negativo, la fiducia nelle imprese ha dimostrato di essere di essere su livelli ancora alti nonostante l’incremento dei prezzi energetici e i problemi di approvvigionamento. Secondo Michele Morganti, Senior Equity Strategist di Generali Investments, il forte aumento registrato dai margini di profitto apre la porta a sorprese positive sugli “utili del terzo trimestre in linea con la media storica, sebbene molto inferiori rispetto alla media degli scorsi trimestri (5% contro 15-20%)“.
L’esperto ritiene che dopo il trend di di revisioni negative che c’è stato nel mese di settembre, adesso non sono da escludere sorprese di ritorno alla normalità visto che gli indicatori di fiducia restano attualmente in territorio positivo anche se in calo.
Secondo Morganti, quindi, la stima è per un “rendimento totale del 5-6% nei prossimi 12 mesi nella media fra Usa ed Unione Europea“. Nonostante però un quadro incoraggiante, non mancano elementi di rischio causati dalle difficoltà di approviggionamento e dall’incremento dei prezzi dell’energia. Tali fattori, ha concluso Morganti, mantengono gli obiettivi citati su un percorso più volatile rispetto al passato ed è proprio per questa ragione che Generali Inv. ha “recentemente ridotto ulteriormente la nostra posizione di Overweight nell’azionario“.
Quali sono quindi le conclusioni che si possono trarre dall’andamento della stagione delle trimestrali Usa? Sicuramente i conti di molte quotate sono eccezionali (abbiamo fatto l’esempio di Goldman Sachs ma il discorso vale anche per altre banche d’affari) ma al tempo stesso è consigliabile non lasciarsi troppo trasportare dall’euforia.
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I rischi di possibili blocchi nella catena di approvvigionamento e l’atteso incremento dell’energia potrebbero alimentare ancora di più le pressioni inflazionistiche. Uno scenario simile spingerebbe le banche centrali a ridurre lo stimolo monetario ad un ritmo ancora più rapido di quello già previsto.
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