Come conseguenza della pandemia da nuovo coronavirus, le tensioni tra Stati Uniti e Cina si sono nuovamente acuite mettendo a rischio la tenuta della tregua siglata con l’accordo di Fase 1, che aveva interrotto un percorso di crescente applicazione di dazi tra le due parti commerciali.

Considerato che a causa delle ricadute economiche del Covid-19, l’amministrazione di Donald Trump non può più portare in dote nella propria campagna elettorale i risultati sulla crescita economica e sulla disoccupazione ai minimi storici, è evidente che la parte repubblicana abbia individuato nella Cina un bersaglio politico efficace.

A parlarne è una interessante nota a cura di Katie Deal, Washington Analyst – U.S. Equity Division, di T. Rowe Price, secondo cui gli USA potrebbero essere attesi da mesi di dura retorica comunicativa contro la Cina, usando questa leva per far sì che gli elettori continuino a supportare il Presidente in vista di una possibile rielezione. Ma che cosa accadrà tra le due nazioni?

I tre ambiti legati alla Cina

L’analista ricorda innanzitutto come l’amministrazione Trump si sia mossa in tre ambiti principali legati alla Cina: tecnologie critiche, sicurezza nazionale e protezionismo economico.

Le tecnologie critiche sono in particolar modo tornate al centro dell’attenzione sul perno rappresentato dal 5G, e non solo. Gli Stati Uniti hanno adottato politiche protezionistiche, al fine di alimentare il proprio dominio industriale nelle tecnologie di nuova generazione, affrontando allo stesso tempo alcuni problemi di sicurezza nazionale. In particolare, evidenzia la nota di T. Rowe Price, il Dipartimento del Commercio USA ha introdotto normative volte a mettere in sicurezza dalle interferenze cinesi le supply chain di settori come i semiconduttori. È sufficiente fare un rapido richiamo alle restrizioni su Huawei per capire come si stia muovendo il Paese nordamericano.

Contemporaneamente, con esiti piuttosto aleatori, il Congresso ha presentato diversi disegni di legge che hanno come oggetto la gestione del coronavirus da parte della Cina e i recenti sviluppi ad Hong Kong. Tra di essi c’è una richiesta di risarcimento e di indennizzo per la pandemia, la rimozione dell’immunità sovrana di Pechino e alcuni provvedimenti riguardanti l’erosione dell’autonomia di Hong Kong e le protezioni accordate al Tibet.

Come abbiamo già anticipato, è difficile che gli esiti di queste proposte siano tali da trasformarle in legge, ma si tratta comunque di indizi che rendono chiaro quale sarà l’approccio USA contro la Cina.

Un’altra tendenza in atto, e che nei prossimi mesi dovrebbe prendere una seria accelerazione, è legata al rimpatrio delle supply chain. Certo, il rimpatrio di interi settori delle catene di approvvigionamento richiederà tanto tempo, molti incentivi e una strategia accorta. Tuttavia, processo proseguirà sicuramente nei prossimi mesi e anche nella prossima amministrazione, chiunque sarà il Presidente.

Possibile il delisting di alcune società

Un altro campo di battaglia è quello sui mercati finanziari. Per anni, sottolinea la nota, il Public Company Accounting Oversight Board (PCAOB) ha segnalato difficoltà di accesso per ispezioni e investigazioni nei confronti delle società quotate cinesi. Proprio per rafforzare la capacità di compiere accertamenti, il Senato ha approvato un disegno di legge che costringerebbe le società quotate a dichiarare se sono ‘possedute o controllate da un governo straniero’, concedendo poi 3 anni per mettersi in regola con il PCAOB, pena il rischio di essere delistati dalle borse statunitensi.

In conclusione, qualsiasi sarà il partito che controllerà la Casa Bianca nel 2021, la traiettoria delle relazioni Stati Uniti – Cina è destinata a peggiorare, con tensioni che non svaniranno nel breve termine. Saranno dunque necessarie sempre più negoziazioni diplomatiche ed economiche tra le due potenze.

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