I titoli delle aziende operanti nel settore cannabis si sgonfiati del 66 per cento circa dopo essere arrivati a toccare quotazioni completamente sganciate da quelli che erano i fondamentali di queste aziende. Il crollo delle azioni della cannabis è stato così forte da spingere molti media a parlare di bolla speculativa. La definizione data dalla stampa specialistica non è eccessiva perchè non si può definire in altro modo quanto avvenuto a titoli che fino ad appena due anni fa erano dei perfetti sconosciuti sui mercati azionari.

Nel corso del 2018, in scia alla liberalizzazione della cannabis varata da alcuni stati americani e dal Canada, le quotazioni del settore cannabis hanno iniziato a crescere sempre di più. Fino a pochi mesi fa, le cannastock, ossia i titoli delle società che operano nel settore della cannabis legale, avevano un valore pari a tre volte dello dell’esordio. I massimi sono stati raggiunti poco dopo l’ufficializzazione della piena legalizzazione in Canada. Nei mesi successivi, però, il fermento si è prima sgonfiato e poi è letteralmente imploso.

Secondo alcuni analisti la bolla speculativa della cannabis si configura come un classico caso di “buy the rumors and sell the news” ossia “comprare sulle indiscrezioni e vendere sulle notizie“. In effetti il rally della cannabis è avvenuto dal momento in cui sono iniziate a circolare le prime voci sulla legalizzazione completa da parte del Canada al periodo immediatamente successivo all’emanazione della legge in merito.

Come hanno messo in evidenza alcuni analisti la bolla della cannabis è scoppiata quando l’euforia per una possibile legalizzazione quasi di massa (nata dopo i primi provvedimenti di liberalizzazione a scopo terapeutico e ricreativo decisa da alcuni stati Usa e consolidatasi dopo l’analoga scelta del Canada) ha ceduto il passo alla consapevolezza che non sarebbe mai avvenuta alcuna legalizzazione su vasta scala. Nel momento in cui gli investitori hanno smaltito la sbornia e hanno preso atto della realtà, allora i traders sono tornati a guardare ai fondamentali. E’ stato in quell’istante che le azioni della cannabis hanno ritracciato per poi crollare.

Come tutte le bolle speculative anche quella della cannabis è stata dolorosa e drammatica. Gli investitori che hanno faticato a comprendere che l’idillio era finito e hanno mantenuto in portafoglio le azioni nella speranza fosse solo momentaneo si sono ritrovati con carta straccia in mano.

A confermarlo sono gli stessi numeri. Rispetto ai massimi che vennero toccati lo scorso 19 settembre 2018 l’indice delle cannastocks che include le 50 maggiori società del settore ha registrato un crollo di ben il 66 per cento. Parlando di capitalizzazione, sono stati bruciati qualcosa come 30 miliardi di dollari. Quanto avvenuto è stato un brusco ritorno alla realtà, poichè non vi era alcun motivo per cui i prezzi delle società del settore potessero essere così alti. Non appena il fumo si è diradato e gli investitori sono tornati a guardare i dati reali ossia ai fondamentali societari ecco che una normale correzione è diventata crollo e addirittura scoppio della bolla.

Come sempre avviene in questi casi, ad alcune società è andata peggio rispetto alla già disastrosa media. La società Tilray, le cui azioni sono quotate sul Nasdaq, prima dello scoppio della bolla, aveva una capitalizzazione di quasi 20 miliari di dollari. Quando la bolla della cannabis è saltata in aria, Tilray ha perso ben il 90 per censo del suo valore. Morale della favola: oggi la capitalizzazione di Tilray arriva ad appena 2 miliardi di dollari. Meno peggio (ma si parla pur sempre di dati drammatici) è andata alla canadese Aurora Cannabis che nel settembre 2018 valeva 8 miliardi di dollari e oggi, con lo scoppio della bolla, ne vale 2,7 miliardi di dollari. Insomma un vero disastro

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