L’economia Usa è in crisi? Questa domanda ha fatto irruzione sui mercati già da alcune settimane. Ad interrogarsi sulle prospettive dell’economia americana è stato Martin Arnold Economist di Schroders. Secondo l’esperto è ovvio che se l’economia Usa va verso un rallentamento allora gli effetti sui rendimenti saranno inevitabili. Arnold ha affermato che per la prima volta negli ultimi due anni il modello output gap negli Stati Uniti ha messo in evidenza un cambiamento nel ciclo economico.
L’impressione che deriva da tale modello, ha proseguito l’esperto, è che l’economia Usa sia passata da un periodo di espansione ad una fase di rallentamento.
Andando a guardare al passato, l’ultimo periodo di rallentamento dell’economia americana è avvenuto nel corso della crisi finanziaria globale. Considerando quello che è avvenuto allora, il rischio che tutti oggi temono è che dietro l’attuale rallentamento ci possa essere la recessione.
E’ partendo da tali presupposti che l’analista si è quindi chiesto se sia in arrivo un periodo di recessione per gli Stati Uniti.
Per le sue valutazioni Schroders utilizza un modello di output gap che si poggia tutto sulla differenza che esiste tra l’atttale output e il potenziale output dell’economia. Le variabili che vengono usate nel modello sono la disoccupazione e l’utilizzo della capacità.
Storicamente il modello degli esperti di Schroders, adottato nel 1978, ha anticipato un rallentamento dell’economia Usa solo in sei occasioni. Quattro di queste sei volte hanno visto la recessione fare seguito al semplice rallentamento mentre le restanti altre due volte hanno visto fare seguito al rallentamento, una ripresa.
Secondo Arnold, fino ad oggi la crescita dell’economia Usa è stata sostenuta dalle politiche accomodanti che sono state adottate dalla FED. Alla luce di questo è molto probabile che un rallentamento della crescita Usa posa spingere la FED a decidere per un taglio dei tassi nel 2020. Dal suo punto di vista, Arnold ritiene che nonostante il rallentamento sia destinato a durare a lungo non ci sarà poi una vera recessione. Tuttavia la valutazione dei rischi connessi allo scenario base suggerisce che la recessione sia comunque una possibilità che potrebbe diventare ancora più concreta se i policymaker non dovessero rispondere con efficacia.
Chiarito il famoso contesto di riferimento, la domanda che Arnold si pone è cosa possa significare un rallentamento dell’economia per le performance degli asset finanziari americani.
Anche in questo caso, per rispondere alla domanda, l’analista guarda alla storia. In passato fasi di rallentamento economico hanno avuto effetti notevoli per le perfomance delle varie asset class. Ovviamente tutto questo non significa che la storia e quindi il rapporto di causa-effetto sia destinato a ripetersi.
Nel Grafico 1 sono indicate le perfomance medie Usa per le seguenti classi di asset: azionario, Titoli di Stato, High Yield, bond Investment Grade e commodity. L’andamento va da febbraio 1978 ad oggi.
Grafico 1: Usa – Rendimenti medi mensili per asset class nelle varie fasi del ciclo
Commentando il grafico l’economista ha affermato i mercati azionari performano peggio rispetto alle altre fasi del ciclo e mettono in evidenza una volatilità maggiore. Durante queste fasi l’azionariato americano ha registrato rendimenti inferiori del 5 per cento in media su base annuale mentre la volatilità è stata maggiore del 15 per cento.
Le fasi di rallentamento economico sono inoltre gli unici momento in cui i Titoli di Stato hanno una performance migliore rispetto all’azionario. Sempre nelle fasi di rallantamento i bond hanno anche sovraperformato rispetto alle obbligazionioni societarie di tipo investment grade. Queste ultime, per finire, hanno registrato una performance migliore rispetto al credito high yield.
Nelle fasi di recessione questo quadro si inverte con il credito high yield che ha registrato performance migliori rispetto all’Investment Grade e ai Titoli sovrani.
Secondo l’analista, però, il modello storico potrebbe non ripertersi e ci potrebbero essere esiti diversi nell’attuale fase di rallentamento. In particolare la FED potrebbe gettare le basi per una fase di rallentamento più lunga del solito ma non destinata ad evolvere poi in una recessione.
Se quindi le politiche delle banche centrali non dovessero portare ad una recessione, potrebbero raggiungere quello che è un target cercato da tempo ossia una crescita più moderata che sia capace di evitare quelli che tecnicamente vengono chiamati boom and bust. La FED, e con queste parole l’analista conclude, è infatti convinta che le politiche monetarie funzionano “stimolando o frenando la crescita della domanda complessiva di beni e servizi”. Così facendo è possibile la stabilizzazione dell’economia.
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