Il livello attuale di produzione del petrolio è costretto a fare i conti con le defezioni (volontarie o imposte) di importanti paesi produttori e quindi ecco che scatta il pressing dei compratori verso quei paesi che possono estrarre e produrre greggio. E’ in questi termini che si può sintetizzare quello che sta avvenendo negli ultimi giorni.
Con la quotazione petrolio tornata su livelli minimi da molti mesi, sono infatti tornate forti pressioni sui paesi produttori affinchè vadano a compensare i ribassi che la produzione globale di greggio ha subito a causa del forfait (imposto) di Iran e del forfait (volontario) del Venezuela.
Agli osservatori attenti non è sfuggito che da alcuni giorni sia in corso un vero e proprio pellegrinaggio in Arabia Saudita da parte di molti grossi compratori. I clienti cercano di ottenere dai sauditi nuovi carichi di greggio per i mesi estivi, tutelandosi dai rischi connessi allo stop dell’export dall’Iran e dal Venezuela. Aspetto interessante di questa vicenda è che tutte le pressiono sembrano essere unicamente indirizzate verso l’Arabia Saudita. In pratica, dinanzi al mutato contesto geopolitico e internazionale, i sauditi sono quasi diventati i salvatori dell’industria mondiale del petrolio. Il fatto che le pressioni si siano indirizzate su un unico paese (che comunque è il più rappresentativo in seno all’OPEC) non è casuale.
Sono stati infatti gli stessi americani se non a provocare quantomeno ad incentivare il pellegrinaggio dei compratori di petrolio in Arabia Saudita. Trump è stato chiaro sulla questione: con lo stop totale e definitivo all’Iran, l’Arabia Saudita deve essere pronta ad immettere sul mercato più greggio per compensare il calo complessivo delle forniture a livello globale.
Se gli Usa sono stati chiari, però, i sauditi lo sono stati di meno. Forse perchè consapevoli della posizioni di forza che è stata raggiunta, i membri dell’esecutivo dell’Arabia Saudita hanno iniziato a porre paletti e asterischi alla pur chiara richiesta arrivata dall’amministrazione americana.
Ad esempio il ministro per l’energia saudita Khalid al Falih ha ribadito che l’obiettivo del suo paese è quello di mantenere il mercato in una condizione di equilibrio, aprendo però la porta ad una possibile estensione degli accordi sui tagli alla produzione per tutto il 2019. Attenzione perchè questo passaggio è molto delicato in ad oggi la scadenza dell’accordo sul taglio alla produzione è fissata per giugno e quindi il furbo al Falih ha praticamente aperto la porta ad una nuova proroga. La posizione dell’esecutivo saudita non sembra essere propriamente allineata ai desideri espressi dagli americani.
Insomma le previsioni sull’andamento della quotazione petrolio nel futuro sono finite nella mani dei sauditi.
Secondo l’analisi di Goldman Sachs il mercato potrebbe presto avere un deficit di 900000 barili al giorno. Per gli esperti il gap dovrebbe essere colmato da russi e sauditi ma è ovvio che nulla avverrà in modo indolore e che quindi sarà necessario prepararsi ad oscillazioni anche significative dei prezzi del greggio. Staremo a vedere.
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