Patrick Bradley, Senior Vice President di Brandywine Global (Legg Mason), ha recentemente fatto il punto sullo stato di salute dell’economia USA e, soprattutto, sul modo in cui risulta possibile intercettare i primi segnali di una prossima recessione.

Nella ricostruzione di quanto avvenuto tra i confini a stelle e strisce Bradley rammenta come l’attuale fase di espansione economica degli Stati Uniti sia iniziata a giugno 2009, e che storicamente la fase espansiva USA più lunga è stata quella che ha coinciso il boom tecnologico degli anni ’90, per circa 10 anni. Dunque, considerando che la fase espansiva attuale dura da più di 9 anni, non è certamente incongruo iniziare a parlare di prossima recessione USA.

Ma quali sono i segnali che potrebbero aiutarci a capire un simile avvicinamento dello stato recessivo?

L’esperto ricorda innanzitutto come l’outlook a breve termine dell’economia americana stia poggiando su basi solide, la fiducia dei consumatori rimanga forte e l’ottimismo delle piccole imprese ha appena toccato il suo record storico. Detto ciò, esistono già oggi alcune forze che potrebbero spingere l’economia verso una recessione, con il Leading Indicator del Conference Board, che potrebbe cambiare direzione e declinare per diversi mesi.

Nel dettaglio, una fonte di preoccupazione in questo ambito può certamente esser rappresentato dal contesto monetario, ovvero dalla curva dei rendimenti, dal rialzo dei tassi di interesse, dalla riduzione del bilancio della Fed, dai corsi azionari e dallo stress finanziario.

La prima, la curva dei rendimenti, si sta appiattendo a mano a mano che il tasso sui Fed funds viene alzato dalla Fed, che procede con la normalizzazione. Supponendo che la Fed alzi i tassi anche nella prossima riunione, è probabile che la curva dei rendimenti si inverta verso la fine del 2018, attirando l’attenzione dei mercati.

In aggiunta a ciò, la Fed sta riducendo il suo bilancio dopo anni di politiche monetarie accomodanti e, in fondo, anche questa non può che rappresentare una forte fonte di restringimento monetario, perché la riduzione del bilancio riduce anche le riserve in eccesso nel sistema bancario, influenzando negativamente la capacità del sistema bancario di concedere credito.

Un altro fattore che l’esperto ci invita a tenere in considerazione sono i corsi azionari, e nello specifico l’indice S&P500. In genere i titoli azionari tendono a raggiungere il picco prima di un declino economico ma è vero che, almeno per il momento, i corsi azionari non mostrano segni di aver raggiunto il picco massimo, con – di contro – crescita dei profitti e dei dividendi. È anche certo, tuttavia, che i titoli azionari stanno diventando sempre meno convenienti, e che a un certo punto gli investitori non saranno più disposti a pagare un prezzo maggiore.

Insomma, traendo le conclusioni, i segnali non sono univoci, ma vanno in favore di una continuazione dell’espansione attuale almeno sul breve periodo. Sul medio termine, invece, è pressoché scontata l’emersione di una fase recessiva.

Gli investitori, al fine di non farsi sorprendere da tali mutamenti, dovrebbero evitare di sottovalutare il potere predittivo della curva dei rendimenti, “e tenere d’occhio eventuali cambiamenti nei trend di altri indicatori, come un’inversione degli indici anticipatori, una caduta dei corsi azionari o un aumento dello stress finanziario. Ricordando, inoltre, che altri problemi potrebbero arrivare da eventuali errori di politica monetaria da parte della Fed e da una prolungata escalation delle tensioni commerciali tra Usa e Cina, che potrebbe esercitare un crescente impatto negativo sull’economia Usa” – conclude l’esperto.

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