Mentre il prezzo del petrolio oggi non registra variazioni significative (il WTI si muove attorno ai 65 dollari al barile mentre il Brent è attestato poco sotto i 71 dollari al barile), un report degli analisti di UBP ha contribuito ad alimentare il dibattito su quelle che sono le previsioni della quotazione petrolio nel lungo termine. L’analisi di UBP è focalizzata su un aspetto che, fino ad oggi, è stato preso in scarsa considerazione o non è stato addirittura esaminato ossia le ripercussioni (possibili) della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina sulle quotazioni del greggio. 

Secondo Pierre Melki di UBP i tempi sono maturi per iniziare a mettere in conto gli effetti di una guerra commerciale sempre più diffusa (non solo quindi Usa contro Cina ma anche allargamento al Canada, al Messico e all’Unione Europea) sulla quotazione petrolio. L’analista ritiene che lo scontro tra Usa e Cina abbia già indebolito la domanda di energia. Le autorità di Pechino hanno chiesto a tutti i più importanti produttori cinesi di incrementare la produzione interna di petrolio in modo tale da mettere al sicuro il Paese dal punto di vista del fabbisogno energetico. E’ appunto in quest’ottca che va inserita la decisione cinese di imporre dazi 25% sul gasolio, sulla benzina ma anche altri prodotti petroliferi USA. Dall’imposizione di dazi si salverebbe solo il greggio. 

Secondo Melki la domanda di petrolio nel corso del 2018 potrebbe restare solida grazie alla crescita del PIL mondiale e ai forti dati sulle esportazioni di India e Cina. L’analista afferma che “le stime sono stabili a 1,5 milioni di barili al giorno di crescita media, in linea con la crescita media della domanda su 3 anni“.

Tra i fattori che potrebbero avere un impatto sull’andamento della quotazione del petrolio c’è, oltre alla sempre considerata variabile Iran, anche la possibile decisione dell’OPEC di aumentare la produzione per colmare proprio il crollo dell’export di Teheran e quello del disastrato Venezuela. 

L’Energy Information Administration ha più volte rivendicato che nel corso del 2019 saranno gli Stati Uniti ad essere il primo produttore mondiale di petrolio con un output di 12 milioni di barili prima del 2020. 

Partendo da tali premesse quali sono quindi le stime che si possono fare? L’esperto ritiene che “monostante la recente correzione, il prezzo delle materie prime rimane ben al di sopra dei livelli medi di breakeven delle società petrolifere integrate”. Secondo Melki, inoltre, “la ripresa dei prezzi del petrolio ha consentito alle grandi società energetiche di ottenere risultati positivi nel secondo trimestre, con profitti molto più elevati ma flussi di cassa inferiori alle previsioni“. La conclusione dell’analisi di UBP è che “a prezzi correnti, tali società dovrebbero continuare a registrare risultati positivi nei prossimi due trimestri“.

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