In settimana il CEO e presidente di JP Morgan, Jamie Dimon, ha dichiarato alla CNBC di vedere due grandi rischi per l’economia americana: la guerra commerciale con la Cina e la fine dell’allentamento quantitativo.
In un’intervista pubblica, Dimon ha in particolar modo affermato che lui e altri dirigenti aziendali avevano già dichiarato all’amministrazione Trump di non essere d’accordo con la tattica di aumentare le tariffe sui prodotti cinesi, ma che il presidente “ovviamente non è stato d’accordo”. Ha inoltre affermato che se la disputa si fosse trasformata in una guerra commerciale, avrebbe potuto cancellare tutti i progressi compiuti dall’amministrazione.
Chiarita la prima preoccupazione (peraltro, alcuni ottimisti ritengono che sia esagerata, considerato che sono quasi accertati i lavori diplomatici per poter scongiurare un peggioramento dei rapporti economici tra le due maggiori economie del mondo), l’altra preoccupazione del top manager è la fine della pratica monetaria, da parte delle banche centrali di tutto il mondo, di acquistare trilioni di dollari di titoli di Stato per sostenere l’economia dopo la crisi del 2008, il “quantitative easing” o QE, tanto caro anche alla BCE.
La preoccupazione di Dimon non è tanto il QE in sé, quanto piuttosto la mancanza di un precedente storico per la situazione attuale: “Non voglio spaventare, ma non abbiamo mai avuto un quantitative easing, e non sappiamo cosa accada in caso di inversione… le persone possono andare nel panico quando le cose cambiano”.
Ad ogni modo, nonostante tali due rischi, Dimon si dichiara generalmente ottimista sull’economia a stelle e strisce, e in una call con gli analisti all’inizio di questo mese ha citato i tassi di occupazione, le spese dei consumatori, gli investimenti, l’andamento dell’edilizia e dell’immobiliare e un sistema bancario sano come indicatori di una crescita accelerata.
Peraltro, con la critica di Dimon alle tariffe cinesi di Trump, non è certo la prima volta che il top manager di JP Morgan entra nell’arena politica. A giugno ha duramente commentato la politica dell’amministrazione Trump di separare i bambini dai loro genitori alla frontiera con il Messico, sottolineando come non solamente fosse crudele, ma anche negativa per l’economia. Secondo alcuni osservatori, Dimon avrebbe anche potuto sfidare Trump alle elezioni del 2020: il manager ha però cancellato tali voci all’inizio di quest’anno, indicando la sua intenzione di rimanere a JP Morgan per cinque anni.
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