La crescita del prodotto interno lordo (PIL) globale potrebbe subire un effetto negativo dell’1% se le minacce tariffarie si trasformeranno in una guerra commerciale vera e propria, riportano le ultime previsioni del capo economista di S & P Global.

Insomma, gli effetti potrebbero non condurre a una recessione globale, ma “si potrebbe immaginare uno scenario in cui anziché una crescita globale, abbiamo una situazione in cui Stati Uniti, Europa e Cina rallentano tutte allo stesso tempo” – ha dichiarato Paul Gruenwald, chief economist presso la società di analisi S & P Global.

Ricordiamo che la crescita globale nel 2017 è stata del 3,7 percento ed è prevista al 3,8 percento quest’anno e al 3,9 percento nel 2019, stando ai dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Si tratta di una velocità molto vicina a quella di “crociera” del 4 percento, raggiunta prima della crisi finanziaria, e che ha richiesto circa un decennio per essere ripresa.

Sia l’OCSE che il Fondo monetario internazionale hanno diffuso alcune previsioni che esprimono fiducia nella crescita globale, pur evidenziando come una guerra commerciale sia un grave rischio al ribasso per le loro prospettive generalmente positive. E S & P non è certo l’unico istituto a lanciare l’allarme: secondo le simulazioni della Banca centrale europea, infatti, la crescita globale potrebbe contrarsi fino all’1% nel primo anno post-cambiamenti tariffari e il commercio mondiale di merci potrebbe contrarsi fino al 3 percento.

Stati Uniti – Cina: da loro dipende il destino della crescita globale

Le tensioni tra le due maggiori economie del mondo sono aumentate in modo non irrilevante quando il presidente Donald Trump ha minacciato dazi doganali fino a 150 miliardi di dollari sulle merci cinesi, citando l’esistenza di pratiche commerciali scorrette da parte di Pechino e un ampio deficit commerciale degli Stati Uniti.

La Cina ha a sua volta minacciato di rispondere sollevando dazi su 50 miliardi di dollari di beni provenienti dagli Stati Uniti, e al momento le due parti sono in trattative che – però – finora non hanno raggiunto conclusioni importanti.

In particolare, la Cina sta lavorando per capire come restringere il suo surplus commerciale con gli Stati Uniti – che ha raggiunto il record di 375,2 miliardi di dollari nel 2017 – aumentando gli acquisti di beni americani, in particolare nei settori dell’energia e dell’agricoltura. Ma ogni tentativo di progresso è stato messo in pericolo martedì scorso, quando la Casa Bianca ha rinnovato la minaccia di imporre il 25% di dazi su prodotti high-tech cinesi per 50 miliardi di dollari rispetto a quella che ha definito come una pratica cinese di “rubare o copiare la tecnologia delle compagnie straniere”.

La Cina ha avvertito durante il fine settimana che qualsiasi accordo raggiunto durante questi incontri non sarebbe andato avanti e sarebbero state prese misure di ritorsione se Washington avesse proseguito nel suo percorso tariffario.

I mercati? Per il momento nessuna paura

È tuttavia piuttosto interessante notare come al momento i mercati non abbiano reagito in modo drammatico alle notizie del weekend e a quelle dei giorni precedenti. Tanto da far pensare che, in fondo, Wall Street si è abituata al “particolare” stile di negoziazione di Trump.

Gruenwald ha sottolineato che l’impatto commerciale potrebbe essere in realtà piuttosto piccolo, ma ammonito sugli effetti derivati di medio termine. Insomma, mentre le prospettive di S & P sono ancora positive e sostenute da solidi fondamentali di mercato, le crepe sembrano apparire un po’ più visibilmente di prima. La crescente minaccia di una guerra commerciale, che vedrebbe gli altri Paesi al di fuori degli Stati Uniti e della Cina sollevare barriere al commercio globale, potrebbe gettare qualche nube in un contesto di faticosa ripresa.

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