Cambiano ancora le previsioni sulla quotazione del petrolio nel 2018 e, come già avvenuto in passato, la revisione delle stime è frutto della necessità di inglobare i rischi che arrivano dagli Stati Uniti. Il fatto è che gli Usa, nel silenzio e a poco a poco, hanno aumentato la loro produzione di petrolio e così, mentre molti investitori si sono ostinati a guardare solo alle mosse dell’OPEC sui tagli produttivi, gli Usa rischiano seriamente di diventare il primo produttore mondiale di petrolio. La scalata degli Stati Uniti sarebbe ovviamente una mezza sciagura per i sogni di riequilibrio tra domanda e offerta e andrebbe a determinare un calo delle quotazioni del petrolio. E’ appunto perchè il rischio connesso con la “variabile americana” è aumentato, che le previsioni sul prezzo del petrolio nel 2018 sono state riviste al ribasso.
Mentre scriviamo il prezzo del petrolio WTI segna un ribasso dello 0,46% a quota 63,2 dollari al barile mentre il petrolio Brent è in flessione dello 0,64% oscillando attorno a quota 68 dollari al barile. Il trend ribassista già attivo nelle scorse sedute, trova quindi conferma dalle quotazioni di oggi. Ad essere però confermate sono anche le previsioni 2018 che parlano di un prezzo del greggio destinato a restare lontano rispetto a quota 70 dollari al barile. La tendenza in atto nell’anno corrente vede un consistente surplus dell’offerta di greggio rispetto alla domanda. Tale surplus, stando alle stime, dovrebbe essere pari a 0,4 milioni di barili nel 2018 per poi ridursi a 0,3 milioni di barile nel corso del 2019. Ad ogni modo in entrambi i casi si tratta di dati in controtendenza rispetto al deficit che era emerso nel 2017. In una situazione di questo tipo, la quotazione del petrolio potrebbe registrare un apprezzamento solo se la domanda dovesse aumentare. Al prezzo del greggio, quiindi, serve più domanda per potersi riportare sopra i 70 dollari al barile. Solo una domanda forte può neutralizzare l’ascesa degli Stati Uniti nel panorama dei paesi produttori.
Gli Usa, secondo le previsioni sulla produzione di greggio, potrebbero chiudere il 2018 con oltre 11 milioni di barili di petrolio al giorno. Questa eventualità porterebbe gli Stati Uniti e diventare il primo produttore e di fatto ridurrebbe la portata degli sforzi che l’OPEC ha fatto fino ad oggi per cercare di riequlibrare le domanda e l’offerta di petrolio. Il crescente peso che gli Usa assumono nel settore produttivo di greggio è solo una delle ripercussioni dell’affermazione di Trump alle elezioni presidenziali. La nuova amministrazione americana, infatti, oltre ad essere impagnata in una guerra commerciale con la Cina, è promotrice della maggiore produzione di oil da parte degli Usa. E gli effetti sull’andamento della quotazione petrolio si vedono.
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