
Ha preso il via la requisitoria sul processo per corruzione internazionale sul caso Eni-Shell / Nigeria, che tra i vari imputati, oltre alle due compagnie petrolifere, vede anche l’attuale amministratore delegato del gruppo, Claudio Descalzi, che all’epoca dei fatti ricopriva il ruolo di direttore generale della divisione Exploration e Production della società, oltre all’ex amministratore delegato Paolo Scaroni, alcuni ex manager come Vincenzo Armanna ed ex dirigenti della multinazionale olandese.
Secondo il pm di Milano Sergio Spadaro, era “cosa nota e accettata dalle compagnie petrolifere” che pubblici ufficiali nigeriali su Opl245 cercassero di “avere soldi”, e che le loro aspettative sul Opl erano “legate a prospettive di guadagno personale”.
Il pubblico ministero si è poi soffermato sugli anni precedenti all’acquisizione del giacimento petrolifero, avvenuto nel 2011, al fine di ricostruire davanti ai giudici del Tribunale del capoluogo lombardo quanto sostenuto nel capo di imputazione. Ovvero, circa 500 milioni di dollari, la metà della maxi tangente da oltre 1 miliardo di dollari versata dalle due compagnie petrolifere per poter avere senza gara i diritti di esplorazione sul giacimento nigeriano alla Malabu, dietro la quale c’era un ex ministro (Dan Etere), sarebbero finiti nelle mani di “politici che hanno consentito la vendita di questi diritti”.
A questo punto è lecito domandarsi se questi aggiornamenti possano o meno avere degli impatti sui prezzi delle azioni ENI. A nostro giudizio, no. Le notizie della requisitoria non apportano particolari novità e, dunque, i movimenti dei prezzi delle azioni ENI, peraltro recentemente interessati da una fase di sostanziale stallo, potrebbero essere giustificati da ben altro. In prospettiva di medio termine, peraltro, buona parte degli analisti sta optando per uno scenario rialzista per la compagnia.
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