Qualche anno fa le banche italiane hanno improvvisamente iniziato a vendere diamanti all’interno delle proprie filiali. E, secondo quanto afferma l’Authority garante della concorrenza e dei mercati, non sempre a quanto pare lo hanno fatto in maniera corretta. Anzi, la stessa autorità afferma che sarebbero “omissive e ingannevoli” le condotte di vendita di diamanti al pubblico effettuate da alcune società (Diamond Private Investment e Intermarket Diamond Business) mediante i canali bancari di UniCredit, Banco Bpm e Montepaschi.

Proprio per vederci più chiaro, l’Authority nell’ottobre 2017 aveva sanzionato le due società insieme ai tre istituti di credito con una multa record da 12,3 milioni di euro complessivi. Una multa che fece scattare il ricorso da parte degli operatori coinvolti presso il Tar del Lazio, il quale è ora arrivato a giudizio con 5 sentenze (10965-10969) nelle quali ha confermato integralmente le sanzioni.

In particolare, ricordiamo come al centro delle attenzioni dell’Antitrust fossero finite la “prospettazione omissiva e ingannevole” ai consumatori di alcune caratteristiche “dell’investimento in diamanti”, nonché l’”aggravamento delle condizioni per il diritto di recesso”.

Alla luce di quanto sopra, sono state ribadite per Diamond Private Investment e Intermarket Diamond Business le sanzioni comminate pari rispettivamente uno e due milioni di euro, e stessa sorte è poi capitata per i ricorsi di Unicredit (4 milioni di euro), Banco Bpm (3,35 milioni di euro) e Monte Paschi Siena (2 milioni di euro).

In particolar modo, l’Authority evidenzia come per quanto concerne le banche le irregolarità riscontrate si riferiscono alla diffusione di materiale promozionale che rappresentavano in modo scorretto le operazioni di investimento. Nell’ordine, Agcom aveva anche contestato, si legge nel magazine Plus24 del Sole 24 Ore:

le comunicazioni relative al prezzo di vendita dei diamanti, la prospettazione al pubblico dell’andamento del mercato e le aspettative di apprezzamento del valore futuro dei diamanti; la loro facile liquidabilità e rivendibilità.

Soffermandosi poi sulle effettive condizioni di compravendita, sono state oggetto di contestazione le condizioni che avrebbero violato i diritti dei consumatori sul diritto di ripensamento, menzionato solo genericamente, senza che vi fosse allegato il corrispondente modulo necessario per recedere, e le modalità di esercizio del quale vengono limitate all’invio di una raccomandata.

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