La fine del 2020 porta la BCE a infrangere nuovi massimi storici, portandosi per la prima volta dalla sua esistenza al di sopra della soglia dei 7 mila miliardi di euro. Ne deriva che rispetto alla metà del mese di marzo il bilancio della Banca Centrale Europea ha realizzato un’importante crescita del 48%, quale effetto delle misure di cui al quantitative easing, ovvero l’allentamento monetario dell’istituto di Lagarde, che ha accentuato il volume di acquisti di titoli da parte dell’Eurotower.
Con queste maggiori “generosità”, il bilancio BCE sale a circa il 60% del PIL della zona euro, risultando non solamente essere maggioritario sulla produzione interna lorda dell’eurozona, quanto anche evidentemente preponderante rispetto a quanto hanno ad esempio fatto gli Stati Uniti con la Fed (34,3%). Risulta invece un record il peso delle iniziative della Bank of Japan sul PIL del Paese asiatico (132,6%).
A questo punto, considerato che non si può chiedere molto di più alla BCE, è arrivato il momento dei singoli Paesi membri dell’UE di agire con la propria politica fiscale. Il 2021 dovrebbe d’altronde essere l’anno dell’invasione sul mercato di tutti i fondi di cui al Next Generation UE, mentre dall’altra parte dell’Oceano Atlantico ci sarà spazio per le iniziative del piano Biden.
Insomma, come a dire che, dalle politiche monetarie, le attenzioni degli investitori non potranno che spostarsi verso quelle fiscali…
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