L’ultima settimana di febbraio è stata un incubo per le borse di tutto il mondo. I mercati mondiali, a causa dell’emergenza coronavirus, hanno chiuso la scorsa Ottava con ribassi molto marcati. Per le borse mondiali si è trattato dalla peggiore settimana dal lontano 2008, anno passato allo storia per il crollo della Lehman Brothers. Oggi come allora non c’è nessun titolo che si è salvato dal sell-off. Se il tracollo delle borse e quello del petrolio non fanno notizia, a lasciare stupiti è invece la pesante correzione della quotazione oro.

Dopo mesi di rialzi continui, il prezzo del gold ha ritracciato e questo, secondo gli analisti, non è un caso ma è un segnale che rafforza la sfiducia dei mercati verso tutte le forme tradizionali di investimento.

Il bene rifugio per eccellenza ha perso nell’ultima seduta della scorsa settimana ben il 3 per cento ma questo ribasso non significa che gli investitori non abbiano più bisogno di rifugiarsi. Il crollo del prezzo dell’oro, il più forte dal 2013, è scaturito dall’inevitabile decisione degli investitori di ricorrere alla vendita dell’unico asset in rialzo da mesi per cercare di ricoprire i margini richiesti per le perdite registrare sugli altri mercati. Per dirla con parole più semplici: si è arrivati a vendere oro perchè il resto è tutto in balia della tensione.

Ovviamente i danni maggiori la tensione in atto li ha causati sul fronte azionario. La scorsa Ottava è stata terribile per tutte le borse occidentali. Tutti i principali mercati, infatti, hanno rimediato perdite a doppia cifra.

Borsa Italiana ha chiuso l’ultima Ottava di febbraio con un ribasso dell’11,3 per cento. Nella sola seduta dello scorso venerdì piazza affari ha bruciato altri 21 miliardi di capitalizzazione, valore corrispondente ad un ribasso del 3,6 per cento. Non è andata meglio alle altre borse europee con il Cac40 di Parigi il 12,1 per cento nelle ultime sedute o la borsa di Francoforte che nell’ultima settimana di febbraio ha perso il 12,8, o ancora Madrid che ha perso l’11,7 per cento e Londra che ha chiuso con un ribasso settimanale dell’11,1 per cento.

Se le borse europee piangono dalla disperazione, Wall Street non ride. Anche la borsa Usa, infatti, ha registrato nell’ultima settimana di febbraio, una violenta correzione tecnica. Il ribasso della piazza americana è stato il frutto non solo delle tensioni in Europa ma anche dell’arrivo del coronavirus in Usa.

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La sensazione degli investitori è solo una: il rischio della diffusione del coronavirus in tutto il mondo potrebbe avere come conseguenza il blocco dell’economia e quindi una recessione su scala globale. E’ molto significativo mettere in evidenza il cambio di percezione che gli analisti hanno avuto nel giro di appena 10 giorni. Se a inizio febbraio la stragrande maggioranza degli esperti, riteneva che il coronavirus si sarebbe fermato nelle zone di prima origine, adesso sono tutti consapevoli che il virus è su scala globale.

In questo contesto le uniche attività con appeal sono i titoli di stato dei paesi più solidi. Dinanzi ad una situazione di crescente incertezza, gli investitori tendono a rifugiarsi su quei titoli sovrani da ultima spiaggia. E’ in quest’ottica che va letto il calo fino al 0,60 per cento del decennale tedesco e il crollo ai nuovi minimi storici, fissati dall’1,15 per cento, per il bond di pari durata americano. I due titolo di stato sono l’incarnazione stessa dell’affidabilità. Oltre alla questione coronavirus, gli analisti guardano anche a quelle che potrebbero essere le prossime decisioni delle banche centrali.

Analizzando i tassi impliciti del mercato monetario, risulta evidente come gli investitori stiano scontando un taglio dei tassi di interesse di almeno 25 punti base da parte della Federal Reserve nel prossimo board in programma il 17-18 marzo. Gli stessi operatori scontano anche almeno altre due mosse simili entro la fine del 2020.

Non solo la FED ma anche dalla BCE potrebbero arrivare presto novità. La Banca Centrale Europea il cui board si incontrerà una settimana prima ossia giovedì 12 marzo, non ha grandi margini di manovra, eppure non è escluso che possa intervenire ancora.

Secondo alcuni analisti, allo stato attuale dei fatti, non sono da escludere neppure riunioni in anticipo rispetto alle scadenze prefissate. Se davvero ci dovessero essere questi board anticipati, sarebbe il segnale inequivocabile della gravità della situazione in atto. Per la cronaca è dal lontano 2009 che non ci sono board in anticipo da parte delle banche centrali.

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