Ultimamente sta prendendo piede una certa disillusione degli investitori nei confronti delle banche centrali. Sono sempre di più gli operatori che ritengono le banche centrali incapaci di riuscire ad agire concretamente sull’andamento dell’economia.
In particolare è opinione diffusa che i tagli dei tassi operati dalle banche centrali non siano più efficaci come prima. Secondo questa visione, le banche centrali sono praticamente impotenti. Ma è davvero così? Gli analisti di T.Rowe Price hanno un punto di vista diverso.
In un recent report Nikolaj Schmidt, Chief International Economist, T. Rowe Price, ha espressamente invitato gli operatori a non diffidare della forza del bazooka delle banche centrali. Secondo l’analista se oggi in tanti ritengono le banche centrali incapaci di impattare davvero sull’economia, è perchè per 10 anni la crescita globale è stata ostacolata da varie forme di deleveraging.
Questo fenomeno è avvento in 4 diverse ondate che hanno contribuito a determinare un vero e proprio rallentamento. Le 4 ondate sono state: la crisi finanziaria globale, la crisi dell’Eurozona, il taper tantrum dei paesi emergenti e l’avvio da parte della Cina di politiche volte a contrastare l’indebitamento. Al termine di queste 4 ondate la situazione è la seguente: ad oggi non c’è stato stato alcun ri-indebitamento dell’economia reale talmente grande da riuscire a controbilanciare questa situazione.
Sempre negli ultimi anni l’economia globale ha dovuto anche fare i conti con una serie di shock che altro non hanno fatto che incrementare l’incertezza. Esempi in tal senso sono stati la Brexit, le guerre commerciali e il boom dei populismi in molte aree del mondo.
Dinanzi ad una situazione così sfavorevole, è ovvio che i tagli dei tassi effettuati dalle banche centrali non sono riusciti ad impattare in modo convincente così come era avvenuto in passato. Ma questo è avvenuto perchè la situazione attuale è molto più complesse rispetto alle fasi critiche del passato.
Schmidt si è detto comunque convinto del fatto che i tagli dei tassi possano avere un impatto positivo sull’economia reale. L’analista non esclude che l’allentamento delle politiche monetaria possa offrire un sostegno molto più efficace di quello che si può pensare. Affinchè questa previsione rosea si verifichi è necessario che non ci siano shock capaci di determinare un aumento delle incertezze.
Allargando l’orizzonte l’analista si è detto convinto che prima o poi la recessione possa arrivare ma, al tempo stesso, ha espresso un certo ottimismo affermando che le possibilità che la recessione possa essere come quella del 2008 sono molto basse. Secondo Schmidt la recessione sarà uguale a quella del 2001 anche perchè, ad oggi, non ci sono squilibri strutturali che sono capaci di causare un downturn così grave.
E’ invece probabile che la prossima recessione sia causata dal mercato del lavoro che, oramai, appare troppo rigido. Per l’esperto la prossima recessione sarà gravosa per i mercati finanziari. Questo avverrà perchè molte quotate sono state costrette ad indebitarsi per distribuire liquidità ai loro azionisti attraverso cedole e buy-back.
La prossima recessione vedrà le banche centrali avere un margine di manovra stretto. Attenzione però perchè margine stretto non significa impossibilità di incidere. Per sua natura la monetaria non va ad impattare solo sui tassi di interesse ma punta anche a dare una direzione ai flussi di capitale con l’obiettivo di creare condizioni finanziarie espansive.
Schmidt si è detto convinto che le banche centrali abbiano ancora munizioni a loro disposizione. Appena un anno fa era opinione che BoJ e BCE non avessero più munizioni e stessero sparando a casaccio. Gli scettici non si sono però accorti che da allora i rendimenti dei Bund decennali hanno segnato un calo da circa 80 a -50 punti base. Lo stesso dicasi per i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi a 30 anni che sono passati da 90 ad appena 35 punti base. Dinanzi a tali numeri non si può davvero pensare che i bazooka delle banche centrali siano scarichi.
Da ciò ne consegue che sottovalutare le strategie di accomodamento monetario che le banche centrali portano avanti è un grave errore.
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