La Grecia sta faticosamente uscendo dal suo piano di salvataggio, abbandonando così il picco più profondo di una crisi del debito esplosa otto anni fa. Un percorso faticoso e non privo di sacrifici e di radicali cambiamenti, tanto che oggi l’economia e la stessa società ellenica sono notevolmente diverse da quelle ante-crisi. Ma come è cambiata la Grecia? E conviene investire in un Paese così traballante?

Iniziamo con il rammentare che gli effetti dell’austerity greca si sono fatti sentire notevolmente all’interno dei confini nazionali, con la produzione economica calata di un quarto e il tenore di vita che si è drasticamente ridimensionato, dopo che la perdita di oltre un milione di posti di lavoro ha spinto la disoccupazione al massimo del 28%.

Ricordiamo anche come i “mali” che hanno condotto alla crisi greca non siano certo recentissimi, ma il flop ellenico è esploso quando il governo di George Papandreou ha dovuto rivelare che il Paese aveva ingannato i propri partner internazionali sullo stato di salute delle sue finanze e che il deficit di bilancio del 2009 era aumentato di oltre il 15% del prodotto interno lordo, cinque volte il limite dell’UE del 3%.

In tale situazione limite, a più riprese, gli esecutivi greci hanno dovuto dar seguito a una serie di manovre sanguinolente, che hanno però favorito l’approdo odierno: da due anni a questa parte, le entrate greche superano la spesa, con il Paese che ha finalmente registrato un avanzo generale.

Questo risultato è stato raggiunto tagliando le spese e mantenendo le entrate più o meno invariate. Ma vista l’entità del crollo, il mantenimento di introiti costanti ha comportato un’enorme compressione sulla classe media greca, che ha dovuto sostenere sempre più tasse. Dal lato della spesa, considerato che i problemi fiscali della Grecia sono stati in parte causati da un’esplosione di posti di lavoro del settore pubblico negli anni precedenti la crisi, il rifiuto di licenziare i lavoratori è diventato un pronto punto caldo tra il governo e la troika, fornitrice dei salvagenti. Un punto che si è però raffreddato nel momento in cui la Grecia ha ridotto i salari pubblici di 150.000 posti di lavoro, assumendo solo una persona ogni cinque uscite, e non rinnovando i contratti temporanei. Tuttavia, i progressi sono stati lenti nel migliorare la velocità di risoluzione delle controversie civili nel sistema giudiziario e l’onere della burocrazia ha reso più difficile attrarre investimenti.

Quanto sopra non è, naturalmente, stato sufficiente. La Grecia ha venduto beni statali, ha fatto cambiamenti radicali nel mercato dell’elettricità, è intervenuta con modifiche normative su qualsiasi tema (o quasi) e ha abbassato il costo del lavoro, in particolare dopo le riforme alle regole della contrattazione collettiva e un taglio del salario minimo nel 2012 (il rialzo del salario minimo è stato rinviato ai prossimi anni). Sul fronte bancario, dopo la crisi di molti istituti di credito e dopo che molti di essi sono stati mantenuti in vita solamente grazie alla liquidità della banca centrale, la situazione sembra essere notevolmente più incoraggiante.

Ma basta tutto questo per affermare che l’investimento in Grecia possa essere considerato una buona opportunità, considerato la ripresa dell’economia locale? Probabilmente no, anche considerato il fatto che il Paese è tornato solo recentemente sui mercati finanziari, e l’accoglimento non è stata certamente trionfale. Nuovi rischi in area euro in grado di affacciarsi nel breve termine potrebbero inoltre nuocere ancora alle economie meridionali.

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