Nella parte finale del 2017 l’euro ha guadagnato terreno nei confronti del dollaro, superando poi quota 1,20 EUR/USD, e consolidando la propria posizione sul cedimento della valuta statunitense, toccando quindi massimi vicini a 1,21 EUR/USD, in ottica similare a quanto effettuato nel settembre dell’anno scorso.

Diversi sono stati i fattori in grado di supportare questa ascesa. Su tutti, citiamo pur brevemente le dichiarazioni di Coeurè, membro BCE, secondo cui vi è concreta possibilità che il quantitative easing possa terminare nel mese di settembre di quest’anno. Se così fosse potrebbe subire un accorciamento la strada che condurrà all’avvio di una nuova policy da parte dell’istituto di Francoforte e, in essa, anche dell’atteso rialzo dei tassi.

È anche vero che dopo quel picco l’euro è poi parzialmente arretrato, rientrando in area 1,19 EUR/USD, a indicare che in carenza di vere novità favorevoli dall’area euro o sfavorevoli dagli USA non dovrebbero esservi ancora i presupposti per l’inaugurazione di nuovi massimi stabili sopra quota 1,20 EUR/USD.

Rischi verso l’alto per l’euro

Nonostante ciò, i rischi sembrano essere quelli di un potenziale nuovo incremento delle quotazioni della moneta unica, almeno fino a quando il quadro di crescita macro economica dell’area si manterrà favorevole e l’inflazione non deluderà le attese. La settimana scorsa la stima flash dell’inflazione di dicembre ha ribadito le attese di un lieve calo da 1,5% a 1,4%, ma l’inflazione “core” ha sorpreso verso l’alto stabilizzandosi a 1,1% contro attese di calo a 1,0%.

Per decifrare i movimenti di brevissimo termine, questa settimana converrà concentrare l’attenzione sui dati di produzione industriale previsti in pubblicazione per giovedì e poi sui verbali della riunione BCE di dicembre, poche ore dopo: proprio questi ultimi potrebbero dare uno slancio importante alle quotazioni dell’euro, soprattutto se all’interno del documento vi fossero delle chiare evidenze circa la presenza di un consenso interno per chiudere il QE tra settembre e dicembre di quest’anno.

L’effetto Trump pesa ancora sul dollaro

Per quanto poi concerne il dollaro, la debolezza di fine 2017/inizio 2018 sembra essere contraddistinta soprattutto dal permanere dell’incertezza sull’entità dello stimolo che deriverà dalla riforma fiscale di Trump, e sulla dinamica dell’inflazione, attualmente piuttosto modesta nonostante la crescita economica robusta.

Questa situazione di incertezza ha avuto impatto prevedibile sulla dinamica dei rendimenti a lungo termine negli USA, che infatti negli ultimi giorni dell’anno passato sono tornati a scendere. Sul fronte macro, la scorsa settimana ha portato in dote indicazioni poco omogenee dagli indici ISM e dall’employment report, pur tendenzialmente positivi (soprattutto per quanto concerne la riaccelerazione della dinamica salariale).

Infine, notiamo come dalla pubblicazione dei verbali del FOMC di dicembre, l’ultimo meeting dello scorso anno, sia emerso come i rischi verso il basso sul sentiero di rialzi dei tassi che derivano dall’influenza della dinamica inflazionistica, potrebbero essere compensati da quelli verso l’alto che derivano dallo stimolo della riforma fiscale, la cui entità comunque rimane ancora incerta. Sul fronte del calendario USA della settimana, focus su prezzi alla produzione giovedì e inflazione venerdì, con attese di stabilizzazione o di lieve arretramento.

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