Secondo quanto afferma una recente stima da parte di Flex, operatore americano (ma con sede a Singapore) operante nel settore dei microchip, l’emergenza non rientrerà prima della fine del 2022, ma i colli di bottiglia dureranno fino al 2023.
Dunque, la crisi dei semiconduttori – con cui molte imprese automobilistiche hanno finito con il fare i conti durante gli ultimi mesi – è qualcosa di cui i produttori automotive farebbero bene a prendere ampia confidenza. Secondo Morgan Stanely, per esempio, nel 2021 le aziende OEM con margini intorno al 5-6% subiranno una flessione della produzione dell’1%, con ripercussioni negative su EBIT (- 5%) e su utili (- 25%).
Secondo MF, però, la carenza di microchip non sta minacciando solo l’auto, quanto anche il settore dell’elettronica. È il Financial Times a ricordare come le industrie asiatiche abbiano già avvisato che anche la produzione di tv, smartphone e elettrodomestici potrebbe andare incontro a improvvisi rallentamenti. Come se non bastasse, la situazione sembra essere ancora più tesa a causa della politica spregiudicata di alcune società, che stanno accumulando riserve in magazzino per speculare sulla crescita dei prezzi.
Insomma, la crisi dei semiconduttori corre seriamente il rischio di finire ad essere un perno delle sfide geopolitiche tra Stati Uniti e Cina, con le eventuali ristrettezze delle aziende cinesi che finirebbero con il pregiudicare il business a valle, negli USA.
È ancora Flex, tramite il CEO Revathi Advaithi, a condividere come la crisi delle catene di approvvigionamento stia spingendo le multinazionali a riorganizzare le proprie filiere più di quanto abbia fatto la guerra commercia Stati Uniti e Cina, e che il risultato di tutto ciò è che in futuro le forniture potrebbero diventare più regionali. Insomma, la razionalizzazione – conclude il CEO – non avverrà solamente tramite le politiche dei dazi.
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