L’India ha proposta un’aliquota fiscale sui redditi da attività digitali piuttosto severa ma, nonostante il livello elevato delle imposte così proposte, segnala pur sempre che il governo riconosce l’industria delle criptovalute del Paese, divenendo così un segnale positivo.
Nel budget annuale dello scorso 1 febbraio, il ministro delle finanze Nirmala Sitharaman ha affermato che il “fenomenale aumento delle transazioni in attività digitali virtuali” richiede una revisione dell’approccio fiscale, con una tassa del 30% su qualsiasi reddito dal trasferimento di beni digitali e senza alcuna possibilità di deduzione. Le perdite subite da tali transazioni non potranno dunque essere compensate con qualsiasi altro reddito.
Inoltre, l’India ha previsto di imporre una tassa dell’1% dedotta alla fonte, o TDS, sui pagamenti relativi al trasferimento di beni digitali.
Ashish Singhal, fondatore e CEO di CoinSwitch, ha dichiarato di ritenere che il prelievo fiscale del 30% è un po’ eccessivo, ma ha affermato che è pur sempre una mossa positiva, in quanto rimuove alcune delle ambiguità intorno alla posizione del governo indiano sulle criptovalute, viste negli ultimi mesi.
Lo scorso novembre, un bollettino parlamentare ha indicato che il governo aveva intenzione di introdurre un nuovo disegno di legge volto a regolamentare le valute digitali. Quel bollettino ha rammentato che l’India ha cercato di vietare la maggior parte delle criptovalute private e ha auspicato la realizzazione di quadro di preparazione per una valuta digitale ufficiale emessa dalla Banca centrale. La proposta di legge non è tuttavia ancora stata introdotta e non è nemmeno in programma per la sessione attuale parlamentare.
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