La “variante delta” continua a dominare i titoli dei giornali, ma la preoccupazione degli esperti sembra essere improntata alla nuova variante “delta plus“.

Così come la delta, anche la delta plus arriva dall’India. E proprio dall’India emergono serie preoccupazioni su questa mutazione del virus, potenzialmente più trasmissibile dei suoi parenti più prossimi. Nel Regno Unito, la Public Health England ha notato nel suo ultimo dossier che la scansione di routine dei casi di Covid nel Paese (dove la variante delta è ora responsabile della maggior parte delle nuove infezioni) ha trovato quasi 40 casi della variante delta, che ha acquisito la mutazione della proteina spike K417N, cioè delta plus.

In particolare, l’autorità ha notato che dal 16 giugno i casi della variante delta plus sono stati identificati anche negli Stati Uniti (83 casi al momento della pubblicazione del report, venerdì scorso), nonché in Canada, India, Giappone, Nepal, Polonia, Portogallo, Russia, Svizzera e Turchia.

Naturalmente, anche l’avvento della delta plus non costituisce una novità. Come comune a tutti i virus, il coronavirus è mutato ripetutamente da quando è emerso in Cina, alla fine del 2019. Ci sono state una manciata di varianti emerse nel corso della pandemia, che hanno cambiato la trasmissibilità del virus, il profilo di rischio e persino i sintomi.

Molte di queste varianti, come la variante “alfa” (precedentemente conosciuta come la variante “Kent” o “britannica”) e poi la variante delta, sono diventate ceppi dominanti a livello globale. Da qui, la necessaria attenzione anche su delta plus.

Il Ministero della Salute indiano ha intanto riferito di aver trovato circa 40 casi della variante delta plus con la mutazione K417N. Il ministero ha quindi rilasciato una dichiarazione in cui ha detto che INSACOG, un consorzio di 28 laboratori che ha sequenziato il genoma del virus in India durante la pandemia, ha informato che la variante delta plus ha tre caratteristiche preoccupanti: maggiore trasmissibilità, legame più forte ai recettori delle cellule polmonari e potenziale riduzione della risposta degli anticorpi monoclonali.

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