Che la situazione a Hong Kong non sia delle migliori è più che evidente: le turbolenze in atto nell’ex colonia britannica hanno innervosito gli investitori per diversi motivi e, secondo quanto emerge in una recente nota a cura di Anthony Chan, Chief Asia Investment Strategist di Union Bancaire Privée (UBP), potrebbero avere degli impatti sulle scelte di impiego non certo marginali.

Il primo motivo di impatto negativo è l’evidenza che la legge cinese sulla sicurezza nazionale abbia sostanzialmente bypassato il processo costituzionale locale. A ciò si deve aggiungere la rapida risposta dell’amministrazione statunitense, che ha minacciato di rimuovere i privilegi speciali di Hong Kong attraverso lo Human Right and Democracy Act. E, infine, il riavvio delle proteste in piazza e il riemergere di manifestazioni violente, che potrebbero scoraggiare le velleità di ripresa economica di Hong Kong, già messe a dura prova dagli effetti della pandemia.

La reazione statunitense

Sancito quanto sopra, sui rischi geopolitici molto dipenderà dalla reazione degli Stati Uniti, che potrebbero adottare sanzioni su tre diversi livelli per colpire gli individui, l’entità o l’intero sistema.

È molto probabile, sottolinea l’analista, che almeno in una prima fase le reazioni riguardino solo individui e entità (si pensi, cita l’esperto, alla restrizione del visto, al sequestro dei beni di individui identificati, alla restrizione delle attività, delle transazioni commerciali e degli investimenti negli Stati Uniti di entità individuali).

Dunque, almeno per il momento, misure più impattanti contro il sistema economico e finanziario di Hong Kong sono improbabili, visto e considerato – anche – che a Hong Kong sono presenti 85.000 residenti americani, oltre a numerose imprese.

Insomma, almeno per il momento la reazione USA è stata piuttosto limitata, con l’eliminazione dei benefici tariffari o del trattamento fiscale speciali che dovrebbe avere un impatto contenuto sull’economia di Hong Kong a causa dei limitati legami commerciali diretti tra Hong Kong e gli Stati Uniti.

Per quanto poi riguarda la valutazione di mercato, la nota sottolinea come sia difficile misurare l’effetto netto dei benefici derivanti dall’aumento delle quotazioni secondarie delle imprese cinesi sui mercati di Hong Kong. “Potrebbero crescere le preoccupazioni per il declino del ruolo di centro finanziario di Hong Kong, il che potrebbe generare implicazioni più ampie sui valori degli immobili destinati al retail e sulle prospettive per il turismo. Tuttavia, dal punto di vista del rischio politico locale e delle tensioni Cina-Stati Uniti, il basso livello di valutazione dello scorso agosto/settembre quando si raggiunse l’apice della violenza delle proteste e con l’incertezza della guerra commerciale sullo sfondo potrebbe essere un riferimento” – dichiara Chan.

In conclusione:

  • nell’ipotesi in cui, come ci si augura, non vi sia una seconda ondata dell’epidemia e assumendo come ipotesi di riferimento lo scoppio di nuovi disordini politici interni e le tensioni tra Cina e Stati Uniti, il rischio al ribasso di una correzione del mercato dovrebbe essere simile al livello attuale;
  • in questo contesto le azioni di maggiore interesse sono quelle H-shares orientate alla Cina e le azioni A shares onshore sull’HSI;
  • di contro, è sicuramente opportuno evitare i settori del consumo domestico e del commercio al dettaglio, così come il real estate in considerazione delle loro sottoperformance durante la prolungata ondata di proteste dello scorso anno.

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