L’economia cinese più debole potrebbe gravare sul già precario equilibrio di quella europea?

La domanda è tutt’altro che inusuale, considerato che la Cina costituisce un rilevante mercato export per molti Paesi dell’eurozona, e il fatto che il calo della domanda cinese negli ultimi mesi non può che produrre conseguenze negative sulla già precaria situazione della manifattura europea.

Ma allora c’è davvero di che temere?

Economia cinese: in rallentamento ma NON in frenata

Cominciamo con lo smentire una parte dei timori più diffusi: è vero che l’economia cinese sta rallentando, ma NON sta certamente precipitando.

Gli effetti della flessione cinese sono infatti quelli di un rallentamento, ma non di una improvvisa frena. Peraltro, la flessione è anche coerente con gli obiettivi, con una crescita del PIL cinese del 6,2% anno su anno nel secondo trimestre, con un ritmo più lento rispetto al 6,4% del primo trimestre, e al centro del range di previsione per il 2019 che va dal 6,0% al 6,5%.

Ancora, si noti come il rallentamento non sia stato improvviso, ma sia stato graduale, con una tendenza che sembra pertanto essere ben calibrata nel medio termine.

I dati PMI sono ancora in territorio positivo

Risulta poi essere utile unire la lettura dei dati di cui sopra a quelli legati agli indici PMI, che monitorano l’evoluzione dell’umore dei responsabili degli acquisti, e dai quali emerge come la percentuale di aziende riferisca un’attività in espansione.

I dati PMI del settore non manifatturiero hanno superato costantemente quota 50 negli ultimi cinque anni, mentre quello manifatturiero si è contratto di diversi punti, senza però pregiudicare il mantenimento del PMI composito in territorio positivo, anche grazie al minore peso del manifatturiero rispetto ai servizi (54,6%).

Gli effetti negativi sull’Europa

Quanto sopra non deve naturalmente tingere un quadro a tinte troppo rosee per l’eurozona che, invece, potrebbe essere duramente colpita dall’evoluzione della Cina. Le esportazioni della zona euro verso il Paese asiatico sono calate dell’1,2% t/t nel secondo quarto, contribuendo così a un calo totale dell’1,0% nell’export complessivo.

Naturalmente, i timori sono ora prevalentemente concentrati sul futuro. La domanda del settore privato cinese rimarrà debole? Le esportazioni del vecchio Continente in Cina ne risentiranno? Il sistema di dazi internazionali continuerà a imperversare e influenzare in modo negativo il commercio globale?

Andiamo con ordine:

  • i dati statistici più recenti confermano il rallentamento dell’attività economica, ma non è generalizzato e, come abbiamo visto, non si tratta di una brusca frenata;
  • la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina si è intensificata durante l’estate, ma le parti si sono dichiarate disponibili a giungere a un’intesa della Fase uno, che potrebbe avere effetti positivi sullo scenario cinese e sull’economia mondiale;
  • l’inflazione dei prezzi al consumo è stabile, e le previsioni degli analisti sono per un tiepido calo nel 2020, da 2,6% a 2,3%;
  • la Banca popolare cinese ha ribadito di essere contraria a uno stimolo monetario massiccio e generalizzato. La sua politica monetaria rimarrà dunque prudente, ma difficilmente non procederà a tagliare il RRR di almeno 100 punti base nel 2020, ricorrendo anche a tagli dei tassi sulle operazioni di rifinanziamento per contrastare ulteriori impatti negativi dei dazi sull’economia.

Insomma, pur in rallentamento, il contributo cinese all’economia mondiale non dovrebbe venir meno.

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