E’ dedicato alla crescita esponenziale della bolla del debito cinese un lungo approfondimento redatto da Paul Smillie, Analista senior degli investimenti di Columbia Threadneedle Investments. Secondo l’analista oggi molti investitori seguono con il fiato in bocca, le evoluzioni dello scontro die dazi tra Usa e Cina. Il rischio che si arrivi ad una guerra commerciale aperta tra i due paesi viene guardato come un pericolo da scongiurare ad ogni modo. Parallelamente le preoccupazioni riguardano anche la crescita a dismisura della bolla del credito cinese.

La posizione di Paul Smillie è chiara: oramai con il debito cinese si è arrivati ad un punto tale che solo soluzioni radicali potrebbero essere in grado di bloccare il trend e sgonfiare una bolla che ad oggi appare fuori controllo. 

Per inquadrare nel giusto contesto l’espolosione della bolla del debito cinese è necessario fare un passo indietro. L’analista ricorda come prima della crisi finanziaria, la crescita dell’economia cinese fosse del 14 per cento annuo. Negli ultimi anni la crescita è scesa al di sotto del 7 per cento ossia si è dimezzata. Dinanzi a questa situazione le autorità cinesi hanno reagito nel modo più scontato e immediato. Pechino ha quindi deciso di aprire, sempre di più, i rubinetti del credito con l’obiettivo di stimolare l’economia. Questo provvedimento da urgente è diventato strutturale e permanente. Ovviamente venendo meno l’eccezionalità, lo stimolo fiscale ha perso di incisitività e questo, come in un circolo vizioso, ha impattato sulla decisione delle autorità di continuare ancora con gli stimoli.  

Venendo ai dati: il rendimento sul credito, vale a dire l’indicatore che misura l’efficacia del nuovo credito nello stimolare la crescita, era pari nel 2008 allo 0,75. In altre parole ogni CNY di credito era capace di generare CNY 0,75 in termini di PIL nominale. Ebbene, a dimostrazione delle difficoltà dell’economia cinese e della sempre più scarsa incisitivà degli stimoli, questo indicatore a partire dal 2014 è precipitato ad una media dello 0,25.

Se si prende in considerazione il dato relativo al rapporto tra credito e PIL, ossia un indicatore che quantifica il livello del credito rispetto alle dimensioni dell’economia, è interessante notare come esso sia salito al 300 per cento rispetto al 150 per cento degli anni precedenti alal crisi finanziaria. Anche questo trend, secondo Paul Smillie, è sintomatico di una criticità ben precisa: il settore bancario cinese è in crisi.  

Praticamente ci sono tutti gli ingredianti per lo scoppio della bolla del credito cinese. Secondo l’analista sarebbe auspicabile che gli investitori in Cina si preparino da un incremento dei tassi di insolvenza. Ad oggi i dati ufficiali parlano di prestiti in sofferenza al 2 per cento del totale ma è la stessa storia a ricordare che al boom del credito corrisponde sempre un aumento dei crediti in sofferenza. Già oggi, ha osservato l’analista, il tasso dei prestiti in sofferenza della Cina potrebbe essere molto vicino al 20 per cento. 

Ma dove sono finiti tutti questi soldi? Tre le strade che il credito ha preso: governi locali per finanziare progetti di infrastrutture, esposizione fuori bilancio delle banche e sostegno agli istituti bancari più piccoli. 

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