Da alcuni anni si parla sempre più spesso di rallentamento dello sviluppo della Cina e, addirittura, di crisi della Cina. Queste espressioni lasciano intendere che il successo economico di Pechino appartenga quasi al passato. La realtà è ben diversa come afferma in un suo report Eric Moffett, gestore del fondo T. Rowe Price Asia Opportunities Equity, T. Rowe Price.
Il gestore afferma che a fronte di una crescita economica in rallentamento, politiche commerciali protezionistiche e livelli di indebitamento preoccupanti, sono in molti a pensare che il successo economico della Cina possa essere ormai storia passata. Ciò fa sorgere interrogativi su cosa il futuro abbia in serbo per il Paese e per gli investitori.
La crescita del Pil rallenta, ma non il reddito disponibile delle famiglie
L’outlook macroeconomico continua ad essere dominante nella mente degli investitori, le cui preoccupazioni sono completamente concentrate sul rallentamento della crescita. L’economia cinese sta crescendo di poco più del 6% all’anno. Pur avendo perso velocità rispetto ai tassi a due cifre di dieci anni fa, si tratta comunque di un andamento solido in una prospettiva globale.
Tuttavia, l’aspetto più rilevante per molti titoli domestici è la crescita non tanto del Pil quanto del reddito disponibile delle famiglie. I dati mostrano un aumento significativo di quest’ultimo nei 10 anni passati, nonostante il rallentamento dell’economia.
La crescita del reddito contribuisce a migliorare la capacità di acquisto delle famiglie delle classi popolari – vale a dire di un gruppo demografico di centinaia di milioni di persone – verso un’ampia gamma di beni di consumo, tra cui vacanze, assicurazioni e cure mediche.
I toni della trade war sono peggiorati a scapito della Cina
Anche la guerra commerciale tra Cina e USA continua ad essere una grave preoccupazione per gli investitori. Le possibilità di miglioramento sembrano limitate, almeno per il resto del mandato del Presidente Trump. Nel corso degli ultimi sei mesi, i toni degli USA sono cambiati notevolmente: se inizialmente cercavano un accordo migliore e sembravano aperti alle negoziazioni, di recente hanno adottato una linea più dura, estendendo le sanzioni ai settori del progetto ‘Made in China 2025’, come quello high-tech, centrale nei piani della Cina per diventare un Paese sviluppato e autosufficiente.
Ciò detto, l’economia cinese dipende dall’esportazione meno di quanto si pensi: l’anno scorso, ad esempio, le esportazioni nette hanno rappresentato solo circa il 2% del Pil.
Inoltre, la Cina commercia decisamente più con altri Paesi Emergenti che con Europa, Giappone e Stati Uniti: questi ultimi si trovano quindi in una posizione meno forte rispetto a 15 anni fa. Infine, il Governo cinese ha a disposizione numerosi strumenti per attenuare l’impatto dei dazi, come sussidi e rimborsi di imposta.
L’enorme indebitamento cinese va contestualizzato
Gli investitori considerano il consistente debito cinese come un ulteriore importante fattore di rischio. Effettivamente, negli scorsi 10 anni il debito delle aziende non finanziarie in Cina è aumentato dal 100% al 165% e molti osservatori non ritengono questo livello sostenibile. Tuttavia, i tassi di interesse nel Paese sono molto diminuiti nello stesso periodo. Dai tassi a doppia cifra di 10 anni fa si è passati al 4-5% attuale. Il rapporto tra interessi aziendali e Pil, un indicatore chiave di rischio sistemico, è al 7%, lo stesso livello di 10 anni fa.
Le inefficienze nel mercato delle A-share offrono opportunità interessanti
Pur avendo sottoperformato rispetto a tutti gli altri principali mercati nel 2018, l’azionario cinese presenta diversi aspetti interessanti. Le valutazioni sono molto basse: nel mercato delle A-share cinesi il rapporto prezzo-utili è circa x12, decisamente inferiore rispetto al MSCI World Index che attualmente scambia ad un rapporto pari quasi a x20.
Inefficienze come quelle presenti nel mercato delle A-share cinesi non si sono mai viste negli ultimi 15 anni. In parte sono dovute alla profondità del mercato: ci sono molte ottime società che restano nascoste alla vista degli investitori stranieri, i quali possiedono una percentuale molto ridotta del mercato – circa il 2,5%. Ad esempio, si trovano società blue chip che crescono del 15% all’anno con valutazioni molto ragionevoli.
La Cina sta risalendo la catena del valore
Con l’aumento degli stipendi la Cina è diventata meno competitiva dal punto di vista dell’offerta di lavoro a basso costo. Il Paese ora sta risalendo la catena del valore, con un aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo in aree high-tech come l’intelligenza artificiale. Le spese R&D hanno raggiunto livelli in linea con i Paesi OCSE, attorno al 2%-2,5% del Pil.
Uno degli ambiti in cui la Cina sta facendo grandi passi avanti in termini di innovazione è quello dei pagamenti elettronici. A Pechino o Shanghai ormai poche persone portano con sé contante, preferendo effettuare i pagamenti tramite smartphone, grazie a provider come Alipay o Tenpay. In quest’area la Cina è più avanzata di molti altri mercati, compresi gli USA. Si tratta di un trend di grande portata, a cui si può accedere direttamente investendo nelle società che controllano i provider, come Alibaba Group e Tencent Hodlings.
In conclusione, la crescita in Cina è ancora solida – molto solida, se si considera il reddito delle famiglie. Allo stesso tempo, le valutazioni sul mercato delle A-share sono a livelli ‘da crisi’. Ciò non significa che non possano scendere ulteriormente, ma che in questo mercato si trovano enormi inefficienze, a cui è difficile trovare paragoni.
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