L’ultimo maxi aumento di liquidità della Cina – pari a 175 miliardi di dollari – non è certamente passato inosservato nelle sale dei mercati finanziari. La banca centrale di Pechino ha infatti dichiarato domenica scorsa che prevede di pompare altri 1,2 trilioni di yuan (appunto, 175 miliardi di dollari) nel sistema finanziario. Nonostante la sbornia del debito dopo l’ultima ondata di difficoltà, il Paese si scopre infatti necessitante di investire di più nella tecnologia verde, nella sanità e nell’istruzione. E, dal punto di vista meramente economico, anche il tempo per poter pianificare saggiamente la propria spesa. Ma è davvero così?
In realtà, come sottolinea Reuters, la mossa, annunciata prima della riapertura dei mercati dopo una settimana di chiusura, segna la quarta volta quest’anno che la People’s Bank of China riduce l’obbligo di riserva per i creditori, ovvero l’importo che devono detenere in percentuale nei loro depositi, con un approccio che dovrebbe supportarli nel compensare l’impatto sul bilancio derivante dall’invito di portare sui libri contabili i crediti inesigibili “nascosti”. In questo modo, si intende altresì incoraggiare un maggior numero di prestiti alle piccole imprese e un maggior numero di acquisti di obbligazioni infrastrutturali che i governi locali si affrettano ad immettere sul mercato.
Tensioni commerciali USA – Cina
Naturalmente, non sono pochi gli analisti che evidenziano come l’allentamento monetario della Banca centrale cinese sia una reazione naturale alle tensioni commerciali tra la Cina e gli Stati Uniti.
I dati della Banca Mondiale mostrano infatti come le esportazioni nette di beni e servizi rappresentavano ancora un quinto del PIL cinese nel 2017 e come le tariffe del presidente Donald Trump potrebbero effettivamente impattare in modo negativo sul futuro del Paese, in misura ancora più negativa delle stime se la situazione non subirà un alleggerimento.
Per quanto concerne le destinazioni degli impieghi, viene osservato come il Paese abbia ancora molte centrali a carbone inefficienti, corsi d’acqua inquinati e persone con un basso livello di istruzione, coperte da un’assistenza sanitaria inadeguata. Nel 2017 è stato calcolato che la Cina ha bisogno di spendere 753 miliardi di dollari all’anno per le infrastrutture dal 2016 al 2020, escludendo la spesa per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
La sfida sembra dunque essere quella di gestire il ritmo di crescita dell’economia cinese, che oggi sembra essere in una forma molto più solida rispetto al 2008, quando Pechino ha varato un piano di stimolo di 580 miliardi di dollari per evitare il proprio collasso. Questa volta il bisogno di liquidità è meno urgente, e la crescita è più lenta, rendendo quindi più difficile per l’economia digerire miliardi di yuan che vengono scaricati nel sistema a stretti intervalli di tempo.
A ciò si aggiunga infine la scarsità di progetti che producono rendimenti rapidi. Gli investimenti sugli ambienti e gli incrementi per i docenti sono sicuramente notevoli, ma i benefici economici richiedono tempo per potersi manifestare.
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