Grandi movimenti nel mercato del petrolio, con i futures cinesi in yuan, sul petrolio, che hanno messo nel mirino il debutto sul mercato finanziario. Riscuotendo, peraltro, l’interesse di numerosi operatori nel comparto delle materie prime, come Glencore Plc, tra i partecipanti stranieri sui futures denominati in yuan, la cui negoziazione ha preso il via presso lo Shanghai International Energy Exchange ieri. Dopo un iniziale aumento di volume che ha superato le transazioni overnight nel benchmark globale del Brent a Londra, il trading si è poi assottigliato verso la fine della prima sessione di scambio, con il contratto che ha chiuso la giornata inaugurale a 429,9 yuan al barile (68,22 dollari).
In una sorta di “novità” operativa per le materie prime cinesi, i futures sono aperti alla partecipazione straniera: un elemento che è considerato fondamentale per il successo a lungo termine del contratto derivato. Un elemento che, aggiungiamo noi, è altresì fondamentale per il vero obiettivo cinese: il più grande acquirente di petrolio del mondo vuole infatti sfidare il dominio di Brent e West Texas Intermediate (WTI) come benchmark globali, e promuovere l’uso dello yuan nel trading internazionale, un obiettivo ritenuto “chiave” per la più grande economia dell’Asia.
Anche se naturalmente un simile auspicio dovrà essere verificato nel lungo termine, per il momento non si può non accennare al fatto che la partecipazione di Glencore e di altri investitori stranieri nel debutto del contratto sul mercato finanziario sia un bel vantaggio. Nel periodo di preparazione al lancio, infatti, alcuni critici oppositori avevano affermato che gli investitori stranieri sarebbero stati scoraggiati dai controlli sul capitale, dal rischio normativo e dall’intervento del governo nello yuan. Un rischio che, evidentemente, non si è concretizzato.
“La Cina ha utilizzato questo contratto in modo innovativo, riempendo un vuoto” – ha affermato Li Li, analista per le commodity di Shanghai ICIS-Cina – “Con questo lancio, il mercato presterà più attenzione all’operatività cinese”.
Per quanto concerne la giornata di esordio, in un maggior dettaglio rammentiamo come i futures per il mese di settembre, la scadenza più gettonata, ha aperto a 440 yuan al barile, in rialzo rispetto a un prezzo di riferimento di 416 yuan. Circa 20.300 contratti sono passati di mano nel corso della giornata, escludendo ulteriori il trading in overnight.
Con simili numeri, è apparso evidente come non sia stato certamente un inizio “febbrile” per il contesto. Ma, probabilmente, questo è quello che le autorità cinesi si aspettavano, visto e considerato che in più occasioni sono dovute intervenire per sedare le speculazioni nelle Borse di materie prime negli ultimi anni, con ciò che ne è conseguito sul fronte della volatilità dei prezzi.
È anche vero che per poter attirare più partecipazione straniera, la Cina ha scelto di rinunciare alle imposte sul reddito per gli individui e per le istituzioni all’estero. Circa 19 broker stranieri si sono già registrati per negoziare i contratti a partire dalla scorsa settimana e, mentre il Paese spera di divenire un punto di riferimento per le transazioni petrolifere globali, non c’è in realtà alcuna certezza sull’ottenimento di questo target.
Un mercato guidato dallo Stato è infatti uno dei principali ostacoli al successo del contratto future in yuan, dichiara un’analisi BMI di Fitch Group. Con la politica e la regolamentazione del governo che giocano un ruolo sempre più importante nel dettare consumi, produzione e commercio, e con le compagnie petrolifere nazionali che dominano tutte le parti della catena del valore, i potenziali partecipanti potrebbero essere cauti.
A ciò si aggiunga che anche la denominazione in yuan incrementa un altro livello di rischio per gli investitori preoccupati per i potenziali controlli sui capitali da parte di Pechino. Peraltro, ostacoli simili hanno impedito agli investitori stranieri di giocare un ruolo di rilievo nei mercati azionari e nei mercati obbligazionari del Paese.
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