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La possibile reimposizione di dazi da parte dell’amministrazione statunitense rappresenta un elemento di forte incertezza per l’economia globale. Come sottolineato da Blerina Uruci, Chief U.S. Economist di T. Rowe Price, l’intenzione di imporre nuovi dazi su alcuni dei principali partner commerciali statunitensi potrebbe trasformarsi in una strategia negoziale piuttosto che in una politica definitiva. La recente decisione di congelare temporaneamente i dazi su Canada e Messico, mantenendo quelli sulla Cina, dimostra l’approccio strategico e non lineare della nuova amministrazione.

L’introduzione di barriere commerciali rappresenta essenzialmente uno shock per la domanda globale. Gli effetti si manifestano in modo duplice: direttamente attraverso l’aumento dei costi e indirettamente generando incertezza economica. Secondo l’analisi di T. Rowe Price, l’incertezza economica funziona in maniera analoga a un aumento dei tassi d’interesse, portando le imprese a posticipare consumi, investimenti e assunzioni.

Le conseguenze di una guerra commerciale non si limitano ai paesi direttamente coinvolti. Ogni restrizione al commercio internazionale danneggia sia le imprese che i consumatori in tutti i mercati interessati, creando inefficienze e aumentando i costi complessivi del sistema economico globale.

Impatto differenziato sui mercati internazionali

L’imposizione di dazi statunitensi genererebbe uno shock negativo della domanda per il resto del mondo, con effetti particolarmente evidenti su determinate economie. L’analisi di T. Rowe Price identifica tre fattori chiave per valutare la vulnerabilità dei diversi paesi:

  1. La dipendenza dall’industria manifatturiera
  2. Il livello di dipendenza dalle esportazioni
  3. La capacità di utilizzare politica monetaria per mitigare gli shock esterni

Sulla base di questi parametri, i paesi maggiormente a rischio includono:

  • Piccoli hub manifatturieri dell’Asia
  • Nazioni dell’Europa centrale e orientale
  • Paesi con forte esposizione commerciale verso gli Stati Uniti (Messico e Canada)

Contrariamente alla percezione comune, non è chiaro che i dazi siano necessariamente inflazionistici nel lungo periodo. L’effetto inflazionistico dipende fortemente dal contesto economico in cui vengono introdotti. In un’economia già caratterizzata da alta inflazione e piena capacità produttiva, i dazi potrebbero alimentare aspettative inflazionistiche. Tuttavia, l’evidenza storica suggerisce che l’imposizione una tantum di tariffe sui beni ha raramente un impatto inflazionistico duraturo.

L’economia americana ha poco da guadagnare dall’imposizione di dazi. Sebbene l’obiettivo dichiarato sia la riduzione del deficit commerciale statunitense, quasi raddoppiato negli ultimi otto anni, tale obiettivo appare difficilmente realizzabile. Le ragioni sono molteplici: gli Stati Uniti importano beni da tutto il mondo per motivi di efficienza economica e la forza relativa dell’economia americana consente ai suoi cittadini di acquistare più beni stranieri. Paradossalmente, se l’amministrazione riuscisse ad aumentare ulteriormente i redditi statunitensi, il deficit commerciale potrebbe addirittura aumentare.

Ripercussioni sui mercati finanziari e strategie delle banche centrali

Gli effetti dei dazi si manifesterebbero rapidamente sui mercati valutari e finanziari. Un rafforzamento del dollaro americano rappresenterebbe una delle conseguenze più immediate, poiché i dazi sulle importazioni tendono invariabilmente a far apprezzare la valuta nazionale. In risposta, le banche centrali estere probabilmente allenterebbero le loro politiche monetarie, causando un deprezzamento delle rispettive valute.

Nei mercati obbligazionari, le aspettative sui dazi hanno finora generato previsioni di inflazione più elevate e un aumento dei rendimenti a lungo termine. Tuttavia, se l’attenzione si spostasse sull’impatto negativo dei dazi sulla crescita, la curva dei rendimenti probabilmente si irripidirebbe, riflettendo aspettative di crescita ridotte e maggiori probabilità di tagli dei tassi.

La Federal Reserve americana potrebbe adottare un approccio cauto, monitorando l’impatto dei dazi sulle aspettative di inflazione senza necessariamente inasprire la politica monetaria. Secondo l’analisi di T. Rowe Price, i dazi colpirebbero i consumatori americani in modo simile a un aumento dell’imposta sul valore aggiunto, e raramente un inasprimento fiscale porta a un ulteriore surriscaldamento dell’economia.

Per quanto riguarda i mercati azionari, è probabile che tutti gli asset sensibili alla crescita economica risentano negativamente dell’imposizione dei dazi. Inoltre, l’aumento dell’incertezza economica farebbe crescere il premio al rischio richiesto dagli investitori per detenere asset rischiosi. Un eventuale crollo del mercato azionario porterebbe a un inasprimento delle condizioni finanziarie, aumentando la probabilità che le banche centrali siano costrette ad allentare le loro politiche monetarie.

Alcuni effetti negativi sulle imprese statunitensi potrebbero essere compensati da politiche fiscali favorevoli e ulteriori tagli alle imposte societarie. La sequenza di attuazione delle diverse politiche fiscali e commerciali sarà determinante per garantire che la traiettoria di crescita positiva negli Stati Uniti possa continuare.


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